Saggi musicali italiani

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Author: Baini, Giuseppe
Title: Saggio sopra l' identità de' ritmi musicale e poetico
Source: Giuseppe Baini, Saggio sopra l' identità de' ritmi musicale e poetico (Florence: Piatti, 1820)

[-I-] SAGGIO SOPRA L' IDENTITÀ DE' RITMI MUSICALE E POETICO DELL' ABATE GIUSEPPE BAINI.

"Omnes artes, quae ad humanitatem

"pertinent, habent quoddam commune

"vinculum, et quasi cognatione quâdam

"inter se continentur."

(Cicero. Oratio Pro Archiâ poëtâ).

FIRENZE

DALLA STAMPERIA PIATTI

1820.

[-III-] INTRODUZIONE

Un poeta francese occupato nel ricercare ciò, che forma la vera differenza della versificazione francese dalle altre moderne versificazioni, credette di risolvere la quistione sì spesso agitata; se possono farsi cioè anche in francese dei versi ritmici non rimati, ed i saggi che fece secondo il suo sistema gli sembrarono concludenti. Nondimeno, benchè poco versato nelle cognizioni musicali, conobbe egli pure che la teorìa della versificazione dovea andar d' accordo con quella della musica; e che questa doveva la prima confermare, o almeno non le si opporre, ove quella basata fosse sopra principj veri, e sicuri.

Venuto egli in Roma col desiderio di assicurarsi di un tal rapporto, e conoscerlo a fondo, ricercò fra' dotti professori, di cui abbonda questa dominante, quello che per pubblica opinione era riconosciuto il più abile a dare su questo importante oggetto un giudizio decisivo. Si diresse [-IV-] quindi al Signor Abbate Baini uno fra' i Direttori di Musica della Cappella Pontificia.

Il poeta propose a questo dotto Professore di musica sedici quistioni, le quali bastano a mettere in chiara luce la teorìa del ritmo, e a far conoscere in conseguenza le basi fondamentali della versificazione.

Non fu minore dell' ammirazione la gioja del poeta nel leggere il Saggio che il dotto Abbate si compiacque comunicargli in risposta, e ben si avvidde che potea questo considerarsi come un compiuto trattato quanto conciso altrettanto dotto intorno all' arte di versificare. Si prova quivi che il ritmo musicale, ed il ritmo della versificazione andarono sempre mai d' accordo, e che per conseguenza il meccanismo, e la melodia del verso non può risultare nè dalla rima, o consonanza finale, nè da un numero determinato di sillabe riunite senza distribuzione ed a caso sebbene legate con la rima.

Le 16 quistioni proposte sono le seguenti:

1. Che cosa è il ritmo musicale?

2. Che cosa è il ritmo della versificazione?

3. In qual cosa si rassomigliano questi due ritmi, della musica cioè, e della versificazione?

4. In qual cosa differiscono questi due ritmi?

[-V-] 5. Fino a qual punto può, e debbe adattarsi il primo al secondo?

6. Qual' influenza uno di questi due ritmi può avere sull' altro?

7. Quali sono le cause del piacere che ci fà provare la versificazione?

8. In che cosa, e come l' orecchio debbe preferire la versificazione alla prosa?

9. Quali sono, e quali debbono essere i principj fondamentali di ogni versificazione?

10. Fino a qual punto le Nazioni che avessero fondato la loro versificazione sulla rima, avrebbero seguito li veri principj della versificazione?

11. Fino a qual punto quelle Nazioni che hanno fondato la loro versificazione sulla quantità prosodica, hanno seguito li veri principj della versificazione?

12. Fino a qual punto quelle Nazioni che hanno fondato la loro versificazione sopra una distribuzione simmetrica di accenti hanno seguito li veri principj della versificazione?

13. Fino a qual punto quelle Nazioni, che fanno consistere li loro versi in un certo numero di sillabe, e sulla rima, hanno seguito li veri principj della versificazione?

[-VI-] 14. Decidere col paragone di questi differenti sistemi, quale di essi abbia incontrastabilmente la superiorità?

15. Paragonare il modo della versificazione di ciascuna lingua con essa stessa, affine di conoscere, quali sono fra le lingue principali quelle, la di cui versificazione è perfettamente conforme al loro genio, come quelle che sono in opposizione, e non interamente d' accordo con la loro versificazione?

CONCLUSIONE.

16. Applicare le considerazioni precedenti alla lingua francese.

La risposta ai precedenti quesiti forma il soggetto di quest' opera.

[-1-] PRIMA DOMANDA.

Cosa è il Ritmo musicale?

Risposta. La continuazione indefinita del numero, ossia della misura delle melodie musicali è il ritmo nella musica.

Dichiarazione. Ogni melodia ha in se stessa un numero, una misura, volgarmente si direbbe un tempo, e nella pratica una battuta, che compita nell' arsi, ossia nel levare, si rinnuova nella tesi, ossia nel battere, che fanno gli accenti, o vogliam dire le note accentuate, le quali ritornan sempre in proporzione moltiplice o dupla, o tripla, o quadrupla, che val quanto si dicesse: le note accentuate si succedono o di terza in terza, come nella battuta dupla; o di quarta in quarta, come nella battuta tripla; o di quinta in quinta, come nella battuta quadrupla. Sia a cagion d' esempio la progressione dei numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, eccetera. Nella battuta o ragion dupla tornan gli accenti melodici ai numeri 1, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15, eccetera; e questa appellasi successione di terza in terza. Nella battuta, o ragion tripla tornan gli accenti ai numeri 1, 4, 7, 10, 13, 16, 19, 22, eccetera; e questa chiamasi successione di quarta in quarta. Nella battuta, o ragion quadrupla tornan gli accenti ai numeri 1, 5, 9, 13, 17, 21, 25, 29, eccetera e questa picesi successione di quinta in quinta. Il ritmo [-2-] musicale adunque è la continuazione indefinita del ritorno eguale dell' arsi nella tesi di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta delle note accentuate, ossia del numero o della misura delle melodie musicali.

Inutil sarebbe, se io qui volessi aggiugnere tutto ciò, che dir si potrebbe per l' intero sviluppo dell' esposta dichiarazione, a cagion d' esempio la differenza positiva delle note più o meno accentuate, ossia degli accenti maggiori o minori; la relazione di questi diversi accenti coi tempi forti e deboli nella battuta musica: le sospensioni non pregiudizievoli al ritmo dei ritorni regolari di essi accenti: la differenza fra gli antichi e i moderni sull' applicazione dell' arsi e della tesi; la genesi dei tempi semplici pari e dispari dall' unità divisa nel primo numero pari possibile, e nel primo possibile dispari; e come questi suddividendosi ci danno i tempi composti; ed altre siffatte cose: ne' quali elementi chi abbisognasse d' istruzione può ricorrere alle grammatiche, ed ai trattati elementari di musica.

SECONDA DOMANDA.

Cosa è il Ritmo nella versificazione?

Risposta. Il ritmo nelle versificazioni metriche consiste nella successione indefinita, cioè in una replica continuata, alla quale non è fissato alcun termine, dei piedi poetici simiglievoli, proporzionati, ed uniformi, convenevolmente acconciati al [-3-] metro determinato. Nelle versificazioni armoniche il ritmo consiste nella continuazione indefinita del ritorno simile delle voci accentuate disposte simmetricamente di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta, secondo la regola di ciascun verso determinato.

Dichiarazione. E primieramente ho io definito il ritmo di due sole maniere di versificazioni, della metrica e dell' armonica, e niuna menzione ho fatta della ritmica, sia antica, sia moderna per la ragione seguente. Il verso ritmico, per testimonianza del dottissimo Padre Sacchi (della divisione del tempo nella Poesia. Dissertazione 3, capitolo 4) per quanto può raccorsi il concetto di quelli che ragionato ne hanno, una cosa coll' altra accozzando (poichè troppo in definire sono varj ed instabili) altro non è, che un verso ignobile, in cui male osservate sono quelle leggi, che del medesimo sono proprie giusta il suo genere. Se egli adunque non è quel ch' esser dovrebbe, non se ne può render ragione, nè precisarne l' idea. Di fatto ascoltisi fralle altre la definizione, che ne dà il Quadrio (Storia e Ragione d' ogni Poesia Tomo 1, pagina 20). "La natura de' versi ritmici consiste in un regolato movimento di voce ora presta ora tarda, con cui venisser cantati". Dietro questa definizione dovrebbe dirsi, che il ritmo della ritmica versificazione consiste nella continuazione indefinita del regolato movimento di voce ora presto, ora tardo nel canto di tali versi. La qual definizione non riguardando la natura del ritmo di esso verso, ma della velocità o tardità del canto, non avrebbe relazione alcuna colla domanda [-4-] sovrariferita, in cui si cerca il ritmo della versificazione, e non del canto dei versi. Ed ecco il perchè mi sono astenuto di farne parola.

Inoltre, parlando della versificazione metrica, ho indicata la sola successione dei piedi poetici, senza far motto dell' ingegnosissimo divisamento del lodato Padre Sacchi; il quale porta opinione, che la disposizione simmetrica degli accenti non si dovette trascurare nè dai greci, nè dai latini, fosse nella prosa, fosse nel verso, e che ravvisasi in amendue d' una maniera trionfante. Se io però m' ingolfassi in proporre cotai novità, ed in sostenerle, quantunque molto dalla bontà della causa potessi esser giovato; tuttavia mi sarebb' uopo di attraversare assai questioni incidenti ed indirette, e perdendomi per istrada, o non mai, o troppo tardi raggiungerei quella meta cui mi studio di non perder di mira. Oso per altro affermare, che rendendosi commune l' opinione del Sacchi, non iscema no, ma si consolida il concetto della definizione.

Finalmente per espolire in ogni più picciola parte la definizione del ritmo delle armoniche versificazioni, occuparsi converrebbe de' noti rilievi sopra gli accenti delle parole, e la natura e gli effetti loro spiegare; mostrare gli equivoci manifesti, cui vanno communemente soggette le definizioni dell' accento acuto, del grave, e del ripiegato; indicar la maniera, onde di tre riduconsi a soli due, all' accento di rinforzo, ed all' accento di produzione; e come agevolmente in tutte le moderne lingue, nessuna esclusa, si possono amendue [-5-] riscontrare. Chi bramasse istruirsene, vegga fra gli altri il Padre Sacchi (loco citato Capitolo 1) il quale magistralmente ne tratta.

TERZA DOMANDA.

In qual cosa si rassomigliano questi due ritmi, della musica cioè e della versificazione?

Risposta. Si rassomigliano nel numero, nella proporzione, nella simmetria, nella continuazione indefinita dei ritorni eguali degli accenti musicali e poetici, nella ripetizione uniforme dei piedi somiglievoli proporzionati alla ripetizione uniforme delle musicali battute.

Dichiarazione. Piacemi qui di additare una cotal somiglianza, che passa fra il ritmo musicale, ed il ritmo delle versificazioni armoniche nella progression degli accenti e delle battute di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta.

E primieramente come tre sole sono, nè più, nè manco, le maniere della battuta, di cui si fa uso nella pratica, la dupla cioè, la tripla, e la quadrupla, nella prima delle quali ritornano gli accenti musicali di 3 in 3: nella seconda di 4 in 4: nell' ultima di 5 in 5; così appunto sono le dimensioni, che ravvisansi nei versi armonici. O precedono in essi gli accenti di terza in terza come nell' endecasillabo accentuato sulla quarta, sesta, ottava, e decima

   Di quei sospìri ond' ìo nudrìva il còre. Petrarca.

e nel settenario accentuato sulla quarta, e sesta

   Madre, figliuòla, e spòsa. Petrarca.

[-6-] o sulla seconda, quarta, e sesta

   Por fine al mìo dolòre. Petrarca.

ovvero si sieguono di quarta in quarta, come nell' endecasillabo accentuato sulla quarta, settima, e decima

   Ma se la tèrra comìncia a tremàre. Redi.

nel decasillabo accentuato sulla terza, sesta, e nona

   Son qual fiùme che gònfio d' umòri. Metastasio.

nel novenario di Loreto Mattei sulla seconda, quinta, e ottava

   Di pèrle di trèmulo gèlo. Mattei.

nel senario accentuato sulla seconda, e quinta

   L' affànno segrèto. Metastasio.

e nel quinario accentuato sulla prima, e quarta

   Fònte di vìta. Metastasio.

o finalmente si riscontrano di quinta in quinta, come nell' endecasillabo accentuato sulla sesta, e decima

   Canto l' armi pietòse e il Capitàno. Tasso.

nel novenario del solo Chiabrera accentuato sulla quarta, e ottava

   A duro stràl di ria ventùra. Chiabrera.

e nell' ottonario accentuato sulla terza, e settima

   Non fia già che il cioccolàtte. Redi.

Ciò che fin qui si è detto de' versi piani, nulla implica, se sieno sdruccioli, ovvero tronchi, essendo la medesima la ragion degli accenti. So per altro esservi delle dimensioni, in cui graziosamente si mescolano le successioni degli accenti di 3 e di 5 ed anche di 4 e di 3; ma questa varietà appunto è indispensabile, ond' evitare la monotonia troppo facile ad istancar l' orecchio, se udisse soverchiamente di seguito le successioni sempre eguali; e perciò è, senza punto toccare gli altri pregi, che più piacciono ai buongustaj le variate ottave dell' [-7-] Ariosto, che non le tornite del Tasso; così più i Sonetti del Petrarca, e le Terzine del Dante, che quelle di qualsivoglia altro Poeta sia antico sia moderno. Non manca poi nel suo genere il numero musicale di questa varietà; e dissi nel suo genere; poichè la successione degli accenti musicali, ossia la battuta non può al certo così sovente cambiarsi senza render fastidio; lo che fu noto anche agli antichi; onde Quintiliano ebbe a dire, parlando del ritmo poetico, ed alludendo al musicale "Rhythmi nullam habent in contextu varietatem, sed qua coeperunt sublatione et positione ad finem usque decurrunt". Se però questo cambiamento di misura non dee tentarsi; si mescolano tuttavia con molto effetto nella stessa misura i periodi di 2, di 3, e di 4 membri; ed innestansi eziandio ne' membri stessi delle Terzine, innesto già usato dai Compositori fin dal Secolo XV onde ravvivare il moto, e romperne l' eguaglianza.

Questa material simiglianza degli accentuati ritorni fin qui osservata, non può andar disgiunta dalla simiglianza degli effetti, che producono nei sensi. Cartesio intento sempre a filosofare, benchè verde negli anni, ed occupato nella milizia, scriveva così al Padre Mersenno sugli effetti che produconsi dal ritmo musicale. Il ritorno pari degli accenti musicali serve ad eccitare nell' animo affetti più lenti; il ritorno dispari affetti più pronti: la battuta dupla, ovvero quadrupla è più posata; la tripla tripudia di più. "Quod autem attinet (Musicae compendium) ad varios effectus quos varia mensura musica potest excitare, generaliter dico tardiorem [-8-] lentiores etiam in nobis motus excitare,.... quales sunt languor, tristitia, metus; celeriorem vero etiam celeriores effectus, qualis est laetitia; eodem etiam pacto dicendum de duplici genere battutae, nempe quadratam, sive quae in aequalia perpetuo resolvitur, tardiorem esse quam tertiata, sive quae tribus constat partibus aequalibus, cujus ratio est, quia haec magis occupat sensum". Ora veniamo al ritmo poetico. Qual è egli mai il concetto che rendono i poeti del verso endecasillabo a cagion d' esempio, accentuato sulla quarta, settima, decima, cioè col ritorno degli accenti di 4 in 4 simile alla battuta ternaria? Ne dicono, che s' appartiene alla musica detta Ipofrigia, cioè ad una musica strepitosa e sonora; e che è più propria dei ditirambi, ossia d' una maniera di verseggiare piena di brio, e di capricci, che d' altra specie di componimenti (Vedi Bisso, Andreucci eccetera) Parlando poi delle altre dimensioni dello stesso verso, ove li ritorni sono in ragione pari, non dicono alcuna di siffatte cose, nè più rammentano sì brillante vivacità; anzi ne assicurano, che il maggior numero degli accenti ritarda nel verso il moto; e che debbe contemperarsi accortamente la lentezza degli uni col moto degli altri.

Dietro queste riflessioni sarà facile il rispondere ad un dubbio su tal simiglianza, da cui non seppe svilupparsi il Cavaliere Stigliani (Arte del verso italiano) "La ragione poi, son sue parole, perchè l' accento stando in una sede, cagioni buon numero, e stando in un' altra, lo cagioni cattivo, non è facile ad investigarsi. Se pur non volessimo ricorrere [-9-] alla dottrina de' musici, i quali ciò attribuiscono alle proporzioni, e sproporzioni, che alcune note hanno con alcune altre. A' quali però potrebbesi tornare a ridomandare da quali cagioni esse sproporzioni e proporzioni possano essere prodotte. Perciocchè la pura verità intorno alla detta incertezza si è, che noi sentiamo gli effetti; e non ne sappiamo le cause: le quali in ristretto altro non sono che occulte antipatie e simpatie". Si tenga pure il Signor Cavaliere questo bel dottrinale delle antipatie e simpatie occulte, ch' io non glielo invidio; e come amante di musica mi proverò di rendergli buona ragione al suo dubbio.

È verissimo, che i musici attribuiscono il buono e cattivo numero tanto nella musica, che nella poesia alla proporzione ed alla sproporzion degli accenti; e se loro si domandi da quali cagioni esse proporzioni e sproporzioni possono esser prodotte, rispondono così. Se le note accentuate ritornano in proporzione moltiplice dupla, tripla, o quadrupla, il ritmo musicale riesce gradevole all' orecchio, perchè facilmente si percepisce e si gusta, come numeroso, eguale, e proporzionale. Se poi questo ritorno di accenti oltrepassasse l' accennata proporzione, riuscirebbe troppo difficile ad avvertirsi dall' orecchio distratto dalla melodia, dall' armonia, dal periodo, dalle diminuzioni, e molto più dalle parole, se fosse musica vocale, o mista di vocale e di stromentale; ed in conseguenza la fantasia, perduto il concetto della proporzione, dell' ordine, e dell' unità, fiuterebbe su cotali produzioni. In simil guisa avviene degli accenti poetici. [-10-] Fissato l' accento sopra la penultima sillaba de' versi piani, o sopra l' ultima de' tronchi, ovvero sopra l' antipenultima degli sdruccioli, che tutto è lo stesso, e ciò tanto per la natura dell' italiano idioma, quanto per la necessità della prosa, e per la regolarità della cadenza, tutti gli altri accenti del verso debbono corrispondere a questa, o in terza, o in quarta, o in quinta: lo che non verificandosi, non vi sarebbe in essi proporzione, non armonia; ed il verso, perduta la sua natura, si ridurrebbe una prosa.

Di fatto se fossi richiesto del perchè non siano versi li due bellissimi primi versi, l' un del Petrarca, e l' altro del Tasso contraffatti nella nota maniera

Voi che in rime sparse ascoltate il suono,

Canto il Capitano, e l' armi pietose;

io non mi contenterei di rispondere co' maestri di versificazione, che la ragione si è, perchè manca l' accento sulla sesta sillaba; poichè mi si potrebbe replicare, e perchè mancando l' accento sulla sesta sillaba si perde la natura del verso? Ma risponderei tosto, perchè gli accenti in amendue queste numerate misure di parole sono sulla quinta sillaba, e sulla decima, cioè a dire non si rispondono in proporzione nè dupla, nè tripla, nè quadrupla: e questo è il perchè non sono versi. La natura amante dell' ordine, e della proporzione non poteva contraddirsi. Il gusto de' primi Padri dell' armonica poesia sentì cotal ordine, proporzione siffatta nel verseggiare, il loro armonico orecchio la gustò, la gradì, ed eccone in progresso le regole. [-11-] Si esaminino pure a bell' agio le dimensioni tutte de' versi italiani di qualsivoglia misura, ed in tutto si riscontrerà la dimostrata corrispondenza d' accenti in proporzione o dupla, o tripla, o quadrupla.

Sento qui oppormi la dimensione dell' ottonario inventata dal Rospigliosi, e seguita da Loreto Mattei, coll' accento sulla seconda e settima li quali si rispondono in sesta.

        D' abìsso le forze abbàtte
     Pugnàndo suo vivo zèlo,
     E s' èlla combatte al cièlo,
     Il cièlo per lei combàtte.
         L' infèrno oppugni e congiùri,
     Di vìncer forza non hà;
     Triònfi sempre sicùri
     Son quèlli della pietà.

Rispondo. Tutti i maestri di versificazione italiana proibiscono espressamente dimensione siffatta, dicendo, che l' ottonario non ha mai l' accento sulla seconda ma o sulla terza, quinta, e settima

   Dolce Lìdia, Lìdia bèlla

o sulla terza, e settima

   Caro ardòr di più d' un còre

ovvero sulla prima, terza, quinta, e settima

   Dèh! mia vita; dèh! mia spème. Stigliani.

le quali tre maniere sieguono appunto la ragione da noi proposta; ed in fine soggiungo che il Bisso, autorizzato da quante v' ha italiane orecchie, l' opposta dimensione caratterizza per una foggia di versi, la quale non ha che poca o niuna diversità dalla prosa. E così credo di avere alla obbiezione pienamente soddisfatto.

[-12-] Ma già mi avveggo, che una battaglia domestica si accende, e mi conviene entrar in lizza co' musici. Non tiene, dice taluno, la ragione di simiglianza tra il ritorno degli accenti poetici ed i musicali. Gli accenti musicali ritornano con egual buon effetto all' orecchio al sesto ed all' ottavo colpo delle due battute segnate 5/4 e 7/4. Cartesio spalleggiato dal Padre Mersenno è quegli che lo prova per diritto: l' Aria famosa nel Raoul di Fioravanti, una Fuga di Catel, più composizioni di Reicha lo dimostrano col fatto. Onde non tiene la simiglianza, e per diversa ragione saran disarmonici i versi cogli accenti distanti oltre la quinta.

L' obbiezione a prima giunta è rispettabilissima; ma non lascia di assimigliarsi ai dragoni volanti fralle meteore, ed agli orribili spettri della fantasmagoria. Odasi primieramente Cartesio. Sì grande, dic' egli, è la forza del tempo nella musica, che questo solo può di per sè dilettare, siccome è manifesto nel timpano, istromento di guerra, in cui è riguardata la sola misura, la quale perciò, siccome io porto opinione, può quivi costare non solo di due parti o di tre, ma eziandio forse di cinque o di sette o di più; poichè non dovendo il senso in cotale strumento avvertire altra cosa fuori del tempo; perciò può esservi in esso diversità maggiore, onde maggiore ancor sia l' occupazione del senso. "Non omittam tamen tantam esse vim temporis in musica, ut hoc solum quamdam delectationem per se possit afferre, ut patet in tympano instrumento bellico, in quo nihil aliud spectatur quam mensura, quae ideo opinor ibi [-13-] esse potest non solum duabus vel tribus partibus constans, sed etiam forte quinque, aut septem, aliisque: cum enim in tali instrumento sensus nihil aliud habeat advertendum quam tempus, idcirco in tempore potest esse major diversitas ut magis sensum occupet". (Cartesio loco citato)

Or chi sarà che voglia giudicar contrarie al mio divisamento le parole di Cartesio? All' infuori della musica, la misura del tempo può costare di cinque, di sette, o di più parti: lo concedo ancor io. Il tamburo fra' suoi segnali ammette la successione delle percussioni, che potrebbonsi dire tribracogiambe vvvv -- vvvv -- vvvv -- eccetera delle percussioni proceleusmatico-tribrache vvvvvv -- vvvvvv -- eccetera ed altre simili; e senza difficoltà il loro periodico ritorno s' intende, lo conosco, lo sento, e lo ammetto ancor io. Anzi e lo stacciatore nel girar il manubrio del frullone onde cernere la crusca dalla farina; e il bottajo nel cerchiare i corpacciuti vasi; e il fabbro informando le masse di ferro rovente suole avere il suo periodo di ritorno talvolta di 3 e di 4, e talvolta di 5, di 7, e di 9 colpi, che si ode, e si nota, siccome mi rammento più volte di aver notato ancor io. E bene, per questo vorrassi far dire a Cartesio, che siffatta teoria debba alla battuta musicale adattarsi? No al certo. "Tempus in sonis (ecco l' opinione di Cartesio e di tutti i musici) debet constare aequalibus partibus, quia illae sunt quae omnium facillime sensu percipiuntur, vel partibus quae sunt in proportione dupla vel tripla". Ma si potrà oltrepassare la quadrupla proporzione? No, risponde Cartesio, ed i musici [-14-] seco. "Nec ulterius fit progressio, quia haec facillime omnium auditu distinguuntur. Et si magis inaequales essent mensurae, auditus illarum differentias sine labore cognoscere non posset (vedi paragrafo 20) ut patet experientia".

Ed eccomi al Padre Mersenno. Si fa lecito questo chiarissimo scrittore di generalizzare nella musica l' esempio del tamburo recato dal suo grande amico il Cartesio, presentando una tavola (l'Harmonie universelle Tomo 1, pagina 20) di molte maniere di differenti battute musiche composte dalle combinazioni di quattro note di valor ineguale. Questa volta però il Padre Mersenno proponendo cotal invenzione curiosa, nè è stato felice nello scioglierla, nè di risolverla altrui ha somministrato occasione. Poteva egli ben giugnere tavole a tavole, combinando cinque, sei e ancor più note nelle possibili maniere; ma a che pro tanti esempj, se la ragione, e l' esperienza, siccome sopra è provato, gli son contrarj? Convien dire pur troppo, che l' orecchio di questo virtuosissimo Padre fosse di molto facile contentatura, poichè nel sentire il ritorno dei tararararà del tamburo tutto si elettrizzava, e credeva di udire cose superiori a tutte le straniere militari bande. Veggasi però Giovanni Giacomo Rousseau nell' articolo Fanfare del Dictionnaire de musique; e svaniranno tosto i prodigj del Padre Mersenno.

Ma affrettiamoci di rispondere agli esempj. L' Aria famosa nella Farsa intitolata Raoul de Crequi posta in musica dal nostro amicissimo il Signor Maestro Valentino Fioravanti, all' attual servigio della Basilica Vaticana, è la prima, che si oppone, [-15-] come segnata in tempo 7/4. Affin d' intenderne la risposta, convien sapere, come nella scena si finge Raoul in carcere sotto la custodia di Martino carceriere briaco, il quale incomincia l' Aria, cantando la seguente Canzone paesana di Napoli, famigerata presso i Lazari della marina:

     È nata na cantina mmiezo mare
        E ghiusto dirimpetto a Morveglino;
        Li pisce là se vanno a decriare,
        E fanno notte e ghiuorno beverino.
     Io me contentarria d' addeventare
        Porsì no Ceceniello, o Guarracino;
        Dint' a na votta me vorria schiaffare
        Pe sommozzà no poco int' a lo vino.

Dalla notorietà di cotal Paesana costretto si vide il lodato Maestro a seguirne ancor la melodia, siccome cantasi dai Lazari. Vi sentì però nello scriverla grandissimo tormento, troppo essendo difficile ricavar cosa regolata dalle voci incondite di quella rozzissima gente. Infine gli venne fatto di prenderne l' andamento, ma trovatolo in due differenti tempi quadruplo e triplo che alternatamente si succedono, prese il partito di riunirli in un solo, segnando per il canto della riferita canzone la misura 7/4. Tale si è la genuina narrazione, cui credo sufficientissima a garantirmi.

E primieramente io non ho mai preteso coll' esposto mio divisamento dar leggi alle plebee stravaganze. S' odon per Roma cantar di notte ritornelli, carro, Periodi di Arie, Canzoni d' ogni maniera. Chi batte gli accenti più che Vulcano l' incude; chi gli strascica; chi li trascorre, chi fa pausa [-16-] oltre il dovere, chi manco, e chi fuori di tempo: altri fa pompa d' intercalari non più uditi: altri all' apprese mesce le proprie idee: uno canta prestissimo quella melodia per appunto, che ad un altro, per la stessa contrada sorte a stento di bocca. Or chi sarà che di cotali esemplari servir si voglia per formar il concetto della più bella fra l' arti belle? Inoltre io mai non dissi impossibile che si dettino aborti di melodie o zoppe o esuberanti (e con ciò intendo di rispondere anche alla fuga di Catel in G. col tempo 5/4, ed alle simili produzioni di Reicha). Come però non può vietarsi che si producano delle mostruosità; così queste non debbono servire per distruggere le regole atte ad impedir cotai mostri. Si soleva dai Maestri del secolo XV. e XVI. per isfoggiar di gran sapere accoppiar contemporaneamente il tempo pari col dispari nella musica vocale della Liturgia, e composizioni siffatte le ho più volte privatamente eseguite co' miei virtuosissimi Colleghi. Si dirà forse per questo, che non sia egli un barbaro ritrovamento? Ovver si consiglieranno i discepoli ad imitarlo, se pur non fosse con quelle sagge cautele, per le quali in Mozart a' nostri giorni l' abbiamo gradito? Finalmente gli addotti esempj anzi che essergli contrarj viemaggiormente confermano il proposto sistema. Pretende l' assunto che gli accenti musicali ritornar non debbano oltre la quadrupla proporzione. Ma gli addotti esempj siano nella misura di 5/4; siano nella misura di 7/4 raddoppiano in ciascuna misura gli accenti, siccome da chi attentamente gli esamini, di leggieri può riscontrarsi: dunque non si oppongono [-17-] al nostro divisamento, anzi vieppiù lo corroborano, mostrando colla stessa irregolarità loro propria la sodezza dei dottrinali proposti. Conchiuderò col Cartesio. Nella musica oltre la quadrupla proporzione non fit progressio. Si enim contra unam notam quinque exempli gratia (per la misura di 5/4; e molto più septem per la misura di 7/4) aequales vellem ponere, tunc sine maxima difficultate cantari non posset. La fantasia degli uditori sconcertata dalle prossime alternazioni della dupla e della tripla; e molto più della tripla e della quadrupla, perderebbe la ragione del numero della proporzione, omnem cantilenam ut unum quid ex multis aequalibus partibus conflatum concipere non posset; e così tolta l' unità, e l' ordine, ne verrebbe la confusione e l' orrore.

Molto sin qui si è detto e forse più di ciò che m' era prefisso, a dimostrare la simiglianza fra il ritmo musicale, ed il ritmo delle armoniche versificazioni. Possibile però! sento interrogarmi, che nulla fra il ritmo dell' antica musica, e delle versificazioni metriche non passasse di simiglianza? E se cotai due ritmi eran da qualche canto simili, perchè nemmen accennarlo? E se la loro simiglianza potesse in alcuna maniera conformarsi a quella stessa dimostrata fra la moderna musica, e le armoniche versificazioni, perchè non far campeggiare lume sì vivo?

Merita la ragionevolezza delle interrogazioni, che ad ogni patto io mi accinga a rispondere, quantunque non ignori la difficoltà che riscontrò in cotal disamina Errico Dupuis, famoso discepolo di Giusto Lipsio. (Henrici Puteani Modulata Pallas. Capitulum 19) [-18-] "Tempus ab antiquis cum tempore nobis fluxit, qui in cantu illud sive in carmine usurparunt." Così egli entra in materia: e dopo aver riferito che gli antichi conosceano due soli tempi, uno lungo, breve l' altro soggiunge: "An vero syllabas singulas canendas sive psallendas his temporum notis distinxerint, haud ausim arbitrari". Dietro questo dubbio ne accerta, che "Psaltriae atque cytharaedi qui canebant, qui modos et carminum genera callebant, facile singulos pedes numerosque distinguebant". Si disbriga però tosto da ogni impaccio conchiudendo colle parole di Macrobio libro 2. in Somnium Capitolo 4, "Quid in tonis pro littera, quid pro syllaba, quid pro integro nomine accipiatur asserere, ostentantis est, non docentis". Io però lungi dal voler ostentare, e dal pretendere cattedra di magistero, costretto solo dall' unità dei quesiti, mi studierò di provare per quanto la scarsezza di monumenti chiari su tal articolo potrà consentirlo che i due ritmi della musica antica, e delle versificazioni metriche eran simili fra loro nel genere stesso di simiglianza che ravvisammo fin qui fra i ritmi della moderna musica, e delle armoniche versificazioni.

Veniamo al ritmo poetico: Il ritmo delle versificazioni metriche per la descrizione data di sopra consiste nella successione indefinita dei piedi poetici simiglievoli, proporzionali ed uniformi, acconciati al metro determinato. Ora è certo primieramente, che piedi poetici non vi avevano minori di due sillabe, e maggiori di tre. Una sillaba non forma piede nemmen se sia lunga; è notissimo detto di Mauro Terenziano antico Grammatico:

[-19-] Una longa non valebit edere ex sese pedem.

Vi voglion per un piede due colpi.

Ictibus quia fit duobus non gemello tempore . . . Bis feriri convenit.

Vi vuole in somma il levare ed il battere, l' Arsi e la Tesi.

Parte nam attollit sonum, parte reliqua deprimit Arsin hanc Graeci vocarunt, alteram contra Thesin. Qualsivoglia poi combinazione di sillabe oltre a tre, non poteva dirsi propriamente piede, ma riunione, congiunzione, ammassamento di piedi. Verius pedum sizigiae, così Tullio dei quadrisillabi, quam pedes vocantur. E Quintiliano: Quidquid enim supra tres syllabas id est ex pluribus pedibus. Nè val dire, che Tullio servissi pur del Peone e del Dochimo, e che v' ebbe il ritmo Peonico; perciocchè questi piedi sono verissime congiunzioni di minori piedi, trovandosi precisamente di loro composti, siccome nei Grammatici può scontrarsi. Quanto però al ritmo Peonico era egli poco appresso come la storia dell' Araba fenice. Chi lo ammette, dicea Plutarco (de Musica) chi lo niega: chi vanta grande acutezza d' ingegno per esser giunto a conoscerne la proprietà: altri poi se ne beffa perchè non regge all' uso.

Inoltre è similmente certo, che l' Arsi e la Tesi di ciascun piede avea la sua legge fissa e determinata quanto alla misura del tempo, fosse il piede di due, fosse di tre sillabe. O il tempo era eguale tanto nell' Arsi quanto nella Tesi, udiamo il tutto dall' accuratissimo Terenziano,

Aut enim quantum est in Arsi tantum erit tempus Tesi.

[-20-] O il tempo era doppio nell' Arsi rispetto alla Tesi, e viceversa:

Altera aut simplo vicissim temporis duplum dabit. O finalmente l' Arsi conteneva tutto il tempo della Tesi, e di più un' altra metà, e viceversa, lo che dai Latini sescupla e dai Greci Emiolia era detto.

       Sescuplo vel una vincet alterius singulum:

Altre differenze non erano ammesse dagli antichi, e di queste trattavano tutti i Grammatici ed i Musici.

Quidquid illis descrepabit absonum reddet melos, Latius tractant magistri Rhythmici vel Musici.

Così Cicerone nell' Oratore afferma: Modus aut duplex, aut sesquiplex, aut par.

E qui piacemi di riferire anche un altro Testo del medesimo Tullio tratto similmente dall' Oratore, ove nomina il Peone. Ecco le di lui parole: Ita sit aegualis dactylus, duplex Jambus, sesquiplex peon. Sia detto in buona pace di Marco Tullio. Che il Dattilo sia eguale nell' Arsi, e nella Tesi, presa la lunga per unità, l' intendo a meraviglia: le due brevi corrispondono al valor della lunga, eccoti l' eguaglianza. Che il giambo sia in ragione duplare ponendo la Breve per unità, similmente l' intendo, la lunga, che siegue, vale il doppio della precedente breve, ed eccoti il Ternario. Ma che il Peone sia in ragione sescupla confesso, che per la mia tardità non l' intendo. Il Peone per tutti i Grammatici antichi e moderni costa di quattro sillabe, una lunga, e tre brevi. "Paeon, aliter Paean (così Giovanni Gerardo Vossio) pes est Epitrito contrarius. Nam ut in Epitrito tres longae sunt cum una brevi; sic hic una [-21-] longa est cum tribus brevibus. Ac similiter pro loco ubi est longa dicitur Paeon primus, secundus, tertius, aut quartus. De eo loquitur Aristophanis Scholiastes. Porro solus Paeon primus et quartus faciunt metrum Pamonicon, ut Hephestionis Scholiastes adnotavit."

Ora di quale entità sarà il Peone in ragione sescupla? Non della breve, non della lunga, perchè di troppo egli le avanza. Non del piede Pirrichio, perchè ha di più una lunga. Non del piede Giambo perchè ne oltrepassa la ragione di mezza breve. Non del piede spondeo, e non del Dattilo, perchè una breve gli manca onde giugnere alla pretesa ragione. E così dicasi degli altri piedi più lunghi, non essendo il numero 5. sescuplo di verun numero intero. Ben a ragione adunque dicea Plutarco, che tra quelli medesimi, che tanto parlavano del Peone "inter eos item de ipsis condendis numeris paeonicis ambigitur."

Nè io qui con riflessioni siffatte pretendo di rimproverar Tullio, quasi che ignorasse la ragion precisa della sescupla, o la quantità del Peone. Solo ho voluto appianare la via ad una interessantissima verità, cioè, che la quantità delle sillabe non era poi così invariabile presso gli antichi, che non potesse talvolta prolungarsi od abbreviarsi alcun poco. Perciò alcuna fiata era permesso di risolvere lo spondeo nel Pirrichio; ma tante altre volte a vizio si sarebbe dovuto imputare. Nulla enim non longa, notisi con quanto riserbo il disse Terenziano, solvi per duas breves potest. Ed allora appunto si tollerava, quando verun nocumento non si fosse al tempo recato,

[-22-] Dum suo pedi reservet praestituta tempora,
       Syllabarum nil nocebit longior progressio.

E di fatto chi dirà mai, che con egual effetto, e colla stessa misura si potesse cambiare in uno spondeo alcuno dei dattili nei versi.

Quadrupedante putrem sonitu quatit ungula campum.

Corpore tela modo atque oculis vigilantibus exit. Virgilio.

Ovvero in dattili gli spondei di quell' altro.

       Illi inter sese multa vi brachia tollunt Virgilio.

O cambiar di luogo la misura del seguente:

Sternitur, exanimisque tremens procumbit humi bos. Virgilio.

E così d' altri infiniti. E ciò a motivo della velocità oltre modo celere dei primi, e della pesante posatezza dei secondi. Quindi nascer doveva a buona ragione una certa dipendenza dal giudizio delle orecchie, il quale a tenore delle combinazioni esiger volesse più o meno esattezza delle parti costituenti la misura; e così vi dovettero essere delle parole già fissate dall' uso con una certa lor misura particolare. Ed ecco il perchè alla sescupla veniva ascritto il Peone. Poteva cioè esser sescuplo del dattilo allungandosi la misura della lunga a tre brevi, ovver producendosi alcuna delle brevi al valor d' una lunga: e poteva similmente aversi per sescuplo del piede giambo, abbreviando all' incirca di una sola metà una delle brevi, ovver di una quarta parte la lunga; e ciò non per istudio che se ne facesse, ma per uso comunissimo di pronunziazione; tanto più che il Peone era l' usitata misura [-23-] dei Peani, Inni dedicati massimamente ad Apolline; ed il piede Bacchio, che corrisponde nella quantità al Peone, era frequentissimo nei Ditirambi, che per la maggior parte si ballavano da gente mezzo briache; e così tra balli, canto, e suono, quanto di leggieri poteva trascorrersi una lunga, od allungarsi una breve, secondando e la misura del verso e l' uso della pronunzia!

Finalmente ne piace di rilevare con chiarezza maggiore, come presso gli antichi due erano le Unità onde desumevasi la ragione dei piedi: La Breve, da cui nascevano tutti.

Ante enim breve est creatum, redditum longum dein. Terenziano.

e la lunga. Due Brevi erano un piede pari, come lo erano due lunghe. Così Terenziano stesso

Primus ille est jure primus egemon qui dictus est,

Author et ductor melorum qui duas breves habet

Est huic adversus ille qui duas longas habet

Syllabis compar priori, temporis duplum merens.

Inoltre da questi due primi tempi pari, uno però doppio dell' altro, ne dovevano nascere due dispari: il piede dispari di tre brevi, ed il piede dispari di tre lunghe. Siegue Terenziano

Tribrachyn primo loquemur ....

Namque huic adversus ibit, qui tribus longis patet

Hunc Molosson nominarunt ....

Temporum tria ille habebit, iste duplo tenditur:

Quae tamen quum partieris, simpla duplis reddito.

Ciò posto, vengo a provare la proposta simiglianza.

Il ritorno dei piedi presso gli antichi era primieramente [-24-] in ragione pari. Rassomigliasi al ritorno dei moderni accenti, che procedono di terza in terza. Questa ragione era seguita dal piede, che nasce dalla breve, cioè dal Pirrichio.

Il ritorno stesso in secondo luogo era in ragione doppia del tempo semplice pari facendo nascere il piede dalla lunga: la qual ragione si siegue dai piedi Spondeo, Anapesto, Dattilo, e Anfibraco o Scolio. I quali, vero è che possono considerarsi a norma dei piedi, coi quali sono congiunti, e semplici e doppj; ma la loro origine sempre canta in ragione doppia del tempo semplice autore e duce delle melodie. Rassomiglia il ritorno di cotai piedi al ritorno degli accenti delle moderne versificazioni di quinta in quinta.

Il ritorno stesso in terzo luogo era in ragione dispari, ossia duplare. E questa si versificava nei piedi Giambo, Coreo, Tribraco, come dispari nati dall' unità semplice, ossia dalla breve. Rassomiglia il ritorno di cotai piedi al ritorno degli accenti delle moderne versificazioni di quarta in quarta.

Il ritorno stesso in quarto luogo era in ragione doppia del tempo dispari, facendo nascere il piede dalla lunga; la qual ragione si siegue dal piede molosso. Questa però non essendo differente nella proporzione, ma solo nella lentezza, dalla ragione dispari, conferma la simiglianza del ritorno degli accenti di quarta in quarta.

Non fa d' uopo cercar altro per la simiglianza, che abbiamo fin qui ravvisata uniforme fra il Ritmo delle metriche, e delle armoniche versificazioni. [-25-] E se non facciamo parola del ritmo sescuplo cui si appartengono il Peone, il Bacchio, e l' Antibacchio, e l' Anfimacro, ossia Cretico; ciò è per le addotte ragioni, alle quali aggiungasi pure, che quante volte i Greci coll' emiolia ed i Latini colla sescupla avessero avuto una maniera di vantaggio; non debbe per questo arrossire la versificazione delle lingue moderne.

Che sarà però della musica antica, di cui tanto poco sappiamo? In qual proporzione avrà ella mai guidati i suoi accenti? In proporzione dupla, o tripla, o quadrupla: (intendesi sempre di parlare del genere moltiplice) perchè il ritmo musicale si adattava precisamente più che non il nostro moderno al ritmo poetico di dupla, tripla, quadrupla proporzione.

Nè già azzardo proposizione siffatta per una tal quale induzione, o per serbare alla natura l' unità delle simiglievoli produzioni, quasi che le moderne orecchie potessero dissentir dalle antiche. No: ma per la testimonianza irrefragabile, che ne rimane di alcun gravissimo Scrittore. E dapprima io voglio riportare un bel tratto del Tomo 2 delle rivoluzioni del Teatro musicale di Stefano Arteaga (pagina 211 Edizione Venezia. Palese 1785) ove si fa in un quadro il ritratto della mia asserzione.

"L' eccellenza della Poesia, e della Musica consisteva in ciò appunto, che nessun effetto naturale poteva concepirsi, che non venisse espresso dall' una, e dall' altra colla maggior esattezza ora col numero di tempi sillabici impiegati nel formar un piede, ora colla rapidità o lentezza del [-26-] movimento impresso alle parole o al suono, ora coi varj generi di ritmo, di cui potevano far uso; finalmente colla successione e intrecciamento diverso dei medesimi ritmi, secondo la differenza, e il numero dei versi. Si voleva per esempio esprimere i movimenti snelli e leggieri, come son quelli del ballo dei Satiri? I Poeti adoperavano il piede tribraco, che costava di tre sillabe brevi, e la misura musicale corrispondeva esattamente a queste. Si doveva rappresentare un qualche oggetto, che agisse con imbarazzo, tardità o fatica? ecco gli spondei, e i molossi venivano in ajuto del compositore, il primo de' quali costando di due sillabe lunghe, ed il secondo di tre, mostravano col loro tardo andamento la lentezza della cosa rappresentata. S' aveva intenzione di eccitare l' allegrezza e il giubbilo? ciò s' otteneva col dattilo, i cui moti sono d' indole conforme. Per non dilungarmi oltre il bisogno, il ritmo presso ai Greci e Latini era come un orologio che misurava con tutta la precisione possibile l' andamento fisico delle passioni, ed il suo carattere individuale n' era talmente fissato, che la trasposizione d' una sillaba sola bastava per cangiarne gli effetti. Di ciò ne basti arrecar una prova. Essi usavano più volte ne' loro versi di due piedi, il Giambo ed il Trocheo, composti egualmente d' una sillaba lunga e d' un altra breve, con questa differenza però, che il Giambo incomincia da una breve, ed il Trocheo da una lunga. Ora siccome il primo di cotesti piedi sembra che ad ogni passo raddoppi altrettanto del suo vigore quanto [-27-] ne va scemando il secondo; così i Poeti satirici (alla testa de' quali fa d' uopo metter Archiloco) adoperavano il giambo per guerreggiare coi loro nemici, mentrechè gli autori drammatici all' incontro facevano uso del trocheo allorehè introducevano a ballar sulla scena i vecchi. Come fece Aristofane nella commedia degli Acharnensi, dove, a motivo del metro che vi si adopera, sembra che venga mancando di mano in mano il vigore ai vecchi, che ballano nel coro. Secondo gli accennati principj il sistema della prosodia antica, nel quale i nostri ciurmatori grammatici altro non sanno vedere, che un accozzamento insignificante di sillabe, era fra le mani di Omero, d' Alceo, e di Pindaro il pennello delle Grazie, la fiaccola del Genio, e la cagion effettrice della musicale possanza."

Poteva in brevi accenti dirsi di più? A questo lume io confido, che le seguenti testimonianze saranno ben più efficaci, onde conoscasi con quanto stretto vincolo il ritmo musicale ed il poetico fosser congiunti. Platone nel libro III. De Repubblica così si esprime a nostro proposito. "Voi dovete adattare il modo al soggetto ed alle parole, e non queste al modo o all' armonia. Su queste materie concerterete con Damone quali piedi o misure siano più adattate per esprimere l' avarizia, la petulanza, il fanatismo, e gli altri vizj; e quali metri esprimano meglio le virtù contrarie. Quindi è, che il ritmo, ed i numeri acquistano la loro forza nella educazion musicale, ed esercitano la loro grande influenza sulle passioni dell' anima". Con [-28-] chiarezza però ancor maggiore conoscesi quanto il ritmo musicale dovesse a pari passo seguire il ritmo poetico per l' aggiunto che davasi sovente al primo di spondaico, e di dattilico siccome fecero e Aristotile, e Aristosseno, e gli altri Musici. Due ne sceglierò autorevolissimi. Riportano Quintiliano, e Boezio, come andando Pittagora un dì a diporto per una contrada, e sentendo le furiose smanie, cui si abbandonavano alcuni giovanastri, trovò il segreto di cambiar loro consiglio, facendo che uno de' suonatori di flauto quivi presenti cambiasse il modo nella misura spondaica. "Pythagoram accepimus concitatos ad vim pudicae domui afferendam juvenes, jussa mutare in spondaeum modos tibicina compescuisse". Quintiliano Capitolo 1 capitolo 10. E Plutarco nel suo libro de musica sovente di qnesto temperato ritmo musicale spondaico come amatore della buona musica rende ragione. "Satis illi (parla di Platone) erant illa quae in Martis et Minervae honorem condita fuerant, et spondaea. Haec enim abunde viri moderati animum confirmare judicabat posse". Ed altrove: "Nam priscos non imprudentia temperasse tertia in genere spondaico id docet pulsandi usus". Ed appresso: Caeterum honestam gravitatem quae genere spondaico per tertiam repraesentatur incitasse liquet eorum sensum ut ad parypatem modulos trajicerent."

A nuova illustrazione di queste testimonianze, io la discorro così. La Musica de' Greci, la quale in fondo era la medesima che quella dei Romani, siccome provasi dal plauso, che i Greci cantori avevano sempre riscosso, e riscuotevan tuttavia in [-29-] Roma ai tempi del forsennato Nerone; la Musica, dissi, de' Greci era segnata sopra le parole con doppio ordine di lettere alfabetiche, il superiore per il canto, l' inferiore per il suono. (Vedi Boezio, Alipio eccetera i quali ne discorrono come di cosa usuale). Gli esempi, che rimangono di questa musica, tanti segni mostrano, quante sono le sillabe delle parole, che cantansi; e rari sono que' segni, che vi si notan di vantaggio. (Questi avanzi di Musica antica posson vedersi in Vincenzio Galilei, nel Padre Martini eccetera.) Dunque a che maravigliarsi, se dicesi, che la misura musicale seguiva il valor prosodico delle sillabe; e che in conseguenza uno era di amendue il ritmo?

Nè già voglio arrogarmi il vanto di essere io il primo a proporre somiglianza siffatta. E non è egli il divisamento medesimo quello di que' nobili Toscani versati in ogni maniera di Greca e Latina letteratura, i quali ragunatisi nella casa di Giovanni Bardi de' Conti di Vernio, onde concertare il modo di ridurre ad ogni costo in uso l' antica musica, si decisero per la maniera del Recitativo, ove gli accenti musicali servono schiavi in catena agli accenti poetici, e dal sentimento del verso si desume il presto, l' adagio, il forte, il piano, il risoluto, il patetico, il concitato, il vibrato: ove fa impallidire lo sdegno, e fa gemere la compassione: al voler dell' attore o si ride, o si piange; e lo spettatore interessatosi dell' avventura, interloquisce per fin nella scena, cose tutte notissime per la storia antica e moderna de' teatri di musica? E non è egli il divisamento medesimo quel di Giovanni Giacomo Rousseau [-30-] nel Dizionario di Musica all' Articolo Recitatif; ove dice: "Chez les Grecs, toute la Poësie était en recitatif, parce que la langue étant mélodieuse, il suffisait d'y ajouter la cadence du mêtre, et la rêcitation soutenue, pour rendre cette recitation tout-à-fait musicale: d' où vient que ceux qui versifiaient, appellaient cela chanter." Non vorrei però che questa maniera di chiamare Recitativo la musica degli Antichi Greci e Romani producesse qualche equivoco per l' associazione della notissima idea del moderno Recitativo di cui suole in ogni Teatro avervi uno sciolo per compositore. No, non era questa la semplice musica degli antichi; e se dicesi Recitativo si dice per approssimazione: e s' intende parlare di quel Recitativo, di cui dettero i precetti il Mei, il Doni, e tanti altri bravi Toscani, e di cui qualche insigne maestro ha fatto in diverse epoche gustare il pathos. (Vedi il Saggio sopra l' Opera in Musica di Francesco Algarotti.)

Ma sento dirmi: il patrizio Errico Loreto Glareano meritò ancor giovane di essere laureato da Massimiliano Cesare in Colonia per aver cantato i versi eroici in sua presenza d' una maniera degna degli antichi cantori; fattosi egli coraggioso da sì buona fortuna, distende in note nel Dodecacordo (Glareani Dodecachordon libro 2, pagina 180 e seguenti) una lunga serie di esempi per cantare i versi elegiaci, i giambi, i faleuci, e le principali Odi Oraziane a norma della mescolanza de' versi, che in esse hanno luogo, ne' quali esempj si serve costantemente di semibrevi e di minime, in opposizione [-31-] di quanto aveva già tentato Franchino Gafforre famosissimo scrittor di musica, protestandosi di non seguire esattamente misura alcuna; Propemodum hic nulla est mensurae observantia: e ciò, perchè gli antichi intenti ad esprimere gli affetti, il numero e la misura avevano in non cale. "Quippe prisci illi, ut affectus exprimerent, magis harmonias verbis aptabant, quam aut mensurae aut numeris verba, quamquam omni carmini sua quaedam est mensura, sed non prorsus ut nunc exigunt musici". Questa opinione è, rispondo, così digiuna, che non merita espressa confutazione, perchè da tutti gli antichi scrittori, nessuno escluso, vien contraddetta Se poi vuolsi benignamente interpretare in forza del quamquam e dell' ut nunc, adattisi, come si può, alla maniera sopraccennata del recitativo, di cui non avea il povero Glareano nè idea, nè contezza; e quivi la mente di questo dottissimo scrittore troverà un appoggio, onde con onor ripiegarsi e sortire d' impaccio.

E qui forse alcuno mi accuserà di negligenza per non aver mai citato in tutta questa disamina l' opera insigne di quel famoso anonimo, che porta per titolo: De Poematum cantu, et viribus rhythmi. Quanta erudizione, per verità, greca e latina! Massime ove si stende a pruovare, che uffizio era de' musici, non già de' grammatici, di accentuare i Poemi, onde poterli ritmicamente cantare: ove dimostra che quindi nasceva l' inutilità di avere le misure delle note nella musica antica, dipendendo questa misura dal valor delle sillabe: ove distingue il moto della voce nel parlare, nel leggere, e nel [-32-] cantare, e come il primo dicevasi continuo, l' altro medio, il terzo diastematico: ove riferisce la leziosità de' musici, i quali esigevano sovente dai poeti sillabe più brevi ancor delle brevi, e delle lunghe più lunghe, siccome afferma Mario Vittorino. Di queste, e di altre siffatte cose avrei molto potuto giovarmi nella mia opinione, armonizzandovi perfettamente. Giunto poi questo grandissimo uomo alla pagina 33 (Editio Oxoniae 1673 ottavo) incomincia a dire, e lo ripete fino alla nausea, che tutte le moderne versificazioni sono pseudo-ritmiche, anzi prive affatto di ritmo: che all' infuori dell' ultima sede non collocano verun accento armonicamente: che i membri di ciascun verso sono un orribile caos: che la musica moderna precipita, e tronca deformemente le sillabe: che si diletta di far lunghe le brevi, e brevi le lunghe: ch' essa ancor non ha ritmo. E ciò, perchè avendo trovato un parrucchiere, il quale pettinavalo ritmicamente con suo indicibil diletto: Recordor me in tonsoris incidisse manus qui quorumvis etiam canticorum motus suis imitaretur pectinibus: ita ut nonnumquam jambos, vel trochaeos . . . . quam scitissime exprimeret, unde haud modica oriebatur delectatio; non ravvisò poi l' uom sistematico, o fosse per mancanza di udito, ovver per esagerata relazione, gli effetti medesimi nelle versificazioni delle lingue moderne: quindi scatenasi contr' esse, e contro la musica che le riveste, a tutta possa. Salito poscia in cattedra, consiglia tutti i poeti a mai non far più versi se non metrici nelle rispettive lor lingue, e tutti i maestri a comporre musiche, nelle [-33-] quali cantinsi tante note, quante sono le sillabe del verso, accordando solo per intercessione di Quintiliano due note ai dittonghi: e rammenta poi loro di servirsi unicamente delle figure dette minime per le sillabe lunghe, e delle semiminime per le sillabe brevi. Conoscendo quindi la difficoltà di questo nuovo impasto, rimette e gli uni, e gli altri alla scuola dei tamburini, i quali sono gli eccellenti maestri di ritmo; e quivi consiglia tutti di non contentarsi di una o due lezioni, ma che tamdiu immorentur, finchè omnium motuum formas et figuras absque cunctatione exprimere et explicare possint quam exactissime: ed allora finalmente reviviscent mirandi musicae antiquae effectus; cioè si torneranno a vedere i pesci sul lido del mare incantati al suono ed al canto della nuova ritmica scuola; le fiere ammanzire; arrestarsi i fiumi dal corso; correre gli alberi; fuggir la peste dalle città; rendere le sepolture i lor morti per il ritorno delle Euridici dall' Erebo: e sorgere nuove Tebi dai sassi accavallati l' un sopra l' altro per far corona ai novelli Orfei, Zeti, ed Amfioni dei parrucchieri discepoli e dei tamburini. Conchiude alla pagina 136 che se questi consigli non saranno eseguiti, tutte le colte età si vederanno costrette a burlarsi delle versificazioni e della musica dell' anno 1671, nella qual epoca i parrucchierì ed i tamburini eran valorosissimi ritmici; ed intanto piacevano agl' Italiani, ed alle altre Europee nazioni, versi sine pedibus, sine membris, sine rhythmo; ed una musica cadaverica, cadavericum saeculi hujus cantum. Se queste cose siano dette da senno, [-34-] o da beffe, io nol so. Dico, che mai il Canonico di Windsor Isaac figliuolo di Giovanni Gherardo Vossio non può essere stato l' autore dell' opera, siccome pur v' ha chi l' opina. Per ciò è che io non mi son fatto lecito di citare opera siffatta, nè di prevalermi della costui autorità. Se poi bramasse taluno di approfondir la materia, vegga il Trattato della musica scenica: le Lezioni sopra la musica scenica, e l' Appendice al Trattato suddetto: opere tutte insigni di Giovanni Battista Doni; ed il Dialogo della musica antica e della moderna di Vincenzo Galilei, ove alla pagina 97 riporta quattro antiche cantilene composte nel modo lidio da uno degli antichi musici greci, le quali possono servire per una prova di fatto convincentissima del nostro divisamento.

Non posso dispensarmi, pria di levar la penna da questa ricerca, dall' aggiugnere ciò che marcai un tempo in non so quale scrittore. Che la diversità, cioè, delle sillabe or lunghe or brevi nei piedi dei versi greci e latini, fu da prima il prodotto e quindi la cagione determinante degli accenti forti e deboli della semplicissima loro musica accoppiata al verso; e che la differenza della misura delle vocali lunghe e brevi, e per fin delle consonanti su cui tanto romore si mosse fra i medesimi antichi grammatici, chi più slungandole, chi manco, chi producendole, direi quasi, in caricatura, e chi quasi negligentandole affatto, nasceva per appunto nella congiunzione strettissima della musica, e della poesia, dalla differenza de' musicali accenti nelle diverse maniere di canto, altro essendo [-35-] quello destinato al culto degl' Iddii; altro quel dei giovani, e delle giovanette ingenue nel sen delle loro famiglie cum voce assa, et cum tibicine; altro quel del teatro. Nel primo gli accenti procedevano con esattezza, per così dire, geometrica; nel secondo alla regolarità aggiugnevano qualche dose di vivacità più piccante: nel terzo, rotti i confini, in mezzo al ridicolo ed allo spaventevole, sortendo di più le voci dal pertugio di maschere sfigurate, e ribattendo nei vasi echei (Vitruvio, Architectura libro 5, capitolo 5) molto dovevan patirne i minori accenti, che solo si saran ravvisati nell' eccesso della caricatura. In tutto ciò per altro fa d' uopo non perder di mira tanto le epoche de' tempi, quanto l' indole, il carattere, ed i gradi di civilizzazione delle nazioni. Maturando seriamente questo tratto, si vedrà a cotal baleno cader a terra quante v' ha ricantate opposizioni, più che non avvenne ai guerrieri del Castel di Pinabello al farsi vampo lo scudo del moresco Ruggero (Ariosto Canto XXII). Ma torniamo in istrada.

QUARTA DOMANDA.

In qual cosa differiscono questi due Ritmi?

Risposta. Per le cose fin qui dette altra differenza fra i due ritmi, poetico e musicale, non si ravvisa, che della sola natura diversa degli elementi costituenti. Quello trae la sua origine dal ritorno dei piedi, ovver dagli accenti sillabici, questo dal ritorno degli accenti melodici: riuniscansi insieme [-36-], si avrà un solo ritmo. Sono l' acqua marina e la rugiada celeste, che al dir degli antichi

     Di conchiglia nel sen madre feconda
     Alfine in bianca perla si ritonda. Robert.

QUINTA DOMANDA.

Fino a che punto debbe e può adattarsi il primo al secondo?

Risposta. Debbe il ritmo poetico determinare, e quindi prestarsi al ritmo musicale; e mai non è lecito a questo di porsi in contraddizione con quello.

Dichiarazione. Molte delle cose riferite sotto la terza Domanda possono a sufficienza dichiarare l' accennata risposta. Piacemi tuttavia coll' autorità di Tullio alquanto espolirla. Volendo egli per il suo tema dimostrare, che l' orecchia umana ha una certa naturale facoltà di distinguere le misure del tempo, reca l' esempio del canto, nel quale cotal misura è perfetta e manifesta; ed afferma, che se il cantore in teatro, cantando de' versi pronunziava alcuna sillaba in ragione della battuta con maggiore o minor tardità, che non le si conveniva; vale a dire se avesse il ritmo poetico col musicale tradito, accorgevasi il popolo dell' errore, e rimanevane offeso. "In versu quidem theatra tota exclamant, si fuit una syllaba aut brevior aut longior". (De Oratione). E replica di nuovo lo stesso nel libro terzo. "Quotus quisque est, qui teneat artem numerorum ac modorum? At in [-37-] his si paullum modo offensum est, ut aut contractione brevius fieret, aut productione longius, theatra tota reclamant". E tanto questi due ritmi dovevano essere fra loro d' accordo, e camminare di pari passo, che lo stesso Tullio giunge ad affermare, che i versi, i quali solevano cantarsi nei teatri, ed i lirici singolarmente erano in gran parte così poveri d' armonia, che se leggendo si recitavano, quasi in essi non appariva alcuna forma di verso, e solo armoniosi divenivano quando si cantavano. "Sed in versibus res est apertior; quamquam etiam a modis quibusdam cantu remoto, soluta esse videatur oratio; maximeque id in optimo quoque eorum poetarum, qui lyrici a Graecis nominantur, quos cum cantu spoliaveris, nuda paene remanet oratio, quorum similia sunt quaedam etiam apud nostros, velut ille in Thieste: Quemnam te esse dicam? qui tarda in senectute . . . et quae sequuntur: quae nisi cum tybicen accessit, orationi sunt solutae simillima. At comicorum senarii propter similitudinem sermonis sic saepe sunt abjecti, ut nonnumquam vix in his numerus et versus intelligi possit: quo est ad inveniendum difficilior in oratione numerus, quam in versibus". Ora se i versi, che in teatro si recitavano, non erano armoniosi ad udirsi, se non quando si cantavano, cum tibicen accessit quanto uniforme corrispondenza, quanta dipendenza reciproca dovea passare fra i due ritmi! Poichè l' armonia di cotai versi non si gustava in altro modo, che gustandosi la cantilena, per la quale armoniosi divenivano.

[-38-] Ma dirà forse taluno non essere verisimili le Ciceroniane espressioni, troppo avendo dell' iperbolico, che il popolo tutto esclamasse per la semplice ineguaglianza degli accenti: perocchè ora non vediamo in simili casi verun disgusto de' spettatori. Ma troppo dalla nostra la musica degli antichi era diversa. Quella era semplicissima; e però gli errori che nella congiunzion dei due ritmi si commettessero, vi dovevano essere manifestissimi; siccome pure esser dovevano assai più gravi, e più frequenti, che non sono ora: se vero è che gli antichi non avessero l' arte di esprimere in carta esattamente le misure, e la quantità peculiare d' ogni nota; come da noi suole farsi, mercè le varie figure, che inventate furono di poi. Nella nostra per contrario l' errore viene coperto facilmente dalla varietà delle parti che oggi s' usano; e potrei anche aggiugnere, che gli antichi andavano al teatro per udire; laddove i nostri, se togliesi la prima sera della nuova opera, vi vanno per conversare, e lo sogliono considerare come un ritruovo degli amici. Quindi i Romani esclamarono quando udirono quella bella sentenza: Homo sum; humani a me nihil alienum puto. Quante belle sentenze si pronunziano talvolta ancor ne' moderni teatri, senza che le approvi ed esclami alcuno dell' immenso popolo, che vi concorre? Tuttavia però si finga anche a' dì nostri uno dei sopraccennati falli avvenire, non dirò già in un finale, anzi nemmeno in un' aria coperta dagl' istromenti; ma in un recitativo interessante e patetico, in cui l' attore, a cagion di esempio, più musico che prosodista, affine di non alterare un [-39-] musicale accento, proferisca andassìmo lungo in luogo di andassimo breve: non mancherebbe tosto per mia fe chi facesse alla Romanesca risuonar a più doppi niente meno che, assassìno.

Che se a' tempi di Tullio tanta era la delicatezza delle romane orecchie, non fu poi sempre così. Lagnasi Plutarco, che la musica de' teatri generava ogni anno stravaganze più inaudite, che non mostri la Libia; e giunge a dire, che a' suoi dì tutta l' applicazion de' compositori riducevasi alla varietà de' modi, ito affatto in non cale lo studio de' ritmi. Quindi tutto si affanna in raccomandare ai novelli maestri lo studio delle antiche maniere, e della poesia. "Quare si cui recte et cum judicio musicam tractare visum est, genus sequatur antiquum... Nam cum partes sint, in quas in universum tota digeritur musica, debet is qui ad musicam applicat, callere eam, quae his utitur, paesim, tenereque eam, quae poemata tradit elocutionem". E poco appresso rende ragione della necessità di cotai studj, poichè dovendo camminare allo stesso passo il numero del verso col numero della melodia, non ne abbia a rimanere offeso il senso. "Semper necessarium est tria ut minimum in auditum cadant, vox, tempus, et syllaba, vel littera. Fiet autem, ut ex vocis incessu apta temperatio, ex temporis, numeri, et litterae, vel syllabae id quod dicitur, cognoscatur. Quia vero pariter progrediuntur una in cursum sensus fieri necesse est".

Vano però fu di Plutarco, di Boezio, e di altri siffatti l' impegno. Le scorrerie de' Barbari infestando, anzi tutto opprimendo il Romano Imperio, [-40-] bandirono totalmente le buone lettere, e le arti belle; onde scompaginossi affatto la macchina dei due sopraccitati simiglievoli ritmi; ed all' infuori delle melodie informi di poche canzoni popolari, e del canto aritmico del Santuario, fu alla musica imposto perpetuo silenzio. La bella aurora del nuovo idioma italiano richiamò eziandio dal bando la musica, che deposte le luride vesti, abbellissi in ossequio della ricuperata libertà con nuovo abito alla foggia italiana; ed incominciò tosto a risuonar sul violino, poscia sulla viola, sul liuto, sulla tiorba; e stretta lega col ballo e colla nuova poesia, si fe sentir con gloria nelle stampite e nelle ballatette fra liete brigate. S' introdusse quindi per la prima volta al pubblico, giusta l' antichissima sua tattica, nelle Chiese, e vi si sostenne a fronte anche dei reclami del Pontefice Giovanni XXII. (Extravagantes Communes liber 3 titulus 1 de vita et honestate Clericorum capitulum unicum) Patrocinata in appresso dai buoni uffizj di Ferdinando Cesare scampò dai più rigidi esami de' Tridentini Padri (Concilium Tridentinum Sessio 22 Decretum De observatione et evitatione in celebratione Missae) mal però corrispondendo ai favori, tese insidiosamente gli agguati al Canto Gregoriano, che pur l' antica tutta propria sua gloria aveva seco lei diviso, e per mezzo degl' inconsiderati suoi fautori ne volle lo scempio. Non ha più di due secoli, che calzato di nuovo il socco, ed il coturno a sfoggiar delle sue bellezze ottenne di salir sul Teatro. La Poesia le fu amica, l' accarezzò dolcemente, la guidò per mano, l' incoraggì, l' ammaestrò: dessa però colla sua antica baldanza soverchiolla in progresso [-41-] per modo, che non più passo passo al suo lato, ma ai capricciosi suoi cenni la fe servire da fante. Reclamò la Poesia al tribunal filosofico colle lagnanze dello Stigliani: "Ponendo i musici un' altra armonia, che non s' accorda coll' armonia poetica, fanno agli uditori quelle parole parer prosa. L' armonia formata dal versificatore nelle lor note s' annulla, e si disfà. Stroppiano costoro l' andatura del verso." Fu a lungo dibattuta la causa e dietro le scritture del Maffei, del Bettinelli, del Tosi, del Mancini, e del Metastasio, sembrò che il giudizio propendesse a favor della supplicante. La musica però divenuta seducente e ciarliera col sostegno della moltitudine volle il giudicato a suo modo; Cioè, che la musica non contraddirà mai più palesemente il ritmo poetico: quanto poi all' antico stile di rilevarlo ed ornarlo, il farà se le aggrada, altrimenti egli la servirà da valletto. E questa si è la storia della nuova unione, e dello stato attuale dei due ritmi. Avverta però la musica di non contare soverchiamente sull' aura. instabile del volgo: io la veggo prossima ad alcun perigliosissimo scoglio; troppo il suo andamento presente rassomigliando quello de' tempi di Plutarco. "Nostri vero temporis homines gravitate ejus repudiata, pro virili illa et admiranda garrulam in theatra introducunt." (Plutarco de Musica). Ed i nostri l' introducono ancor nelle Chiese in comitiva degli Ottavini, dei Tamburi, e dei Timpani: il che non saprei decidere se fosse più o manco riprovabile di quegli orrori esecrati nella musica ecclesiastica de' suoi tempi dal satirico Salvator Rosa (Satire I la Musica)

[-42-]

       Che scandalo è il sentir ne' sagri chiostri
       Grugnir il Vespro, ed abbajar la Messa,
       Ragghiar la Gloria, il Credo, ei Pater nostri.
            . . . . . . . . . . . .
            . . . . . . . . . . . .
       E si sente per tutto a più potere,
       Ond' è che ognun si scandalizza e tedia,
       Cantar sulla ciaccona il Miserere.
       E con stili da farse e da commedia
       E gighe e sarabande alla distesa eccetera.

SESTA DOMANDA.

Qual influenza uno di questi ritmi può ricever dall' altro?

Risposta. Il ritmo musicale riceve per lo più dal ritmo poetico quell' influenza, che riceve il ballo dal ritmo musicale.

Dichiarazione. Come il ritmo musicale procede co' suoi accenti in ragione moltiplice dupla, o tripla, o quadrupla, e così determina il moto nel ballo, in cui, al dir del famosissimo maestro Giovanni Battista Duffort nel trattato del Ballo Nobile, non v' ha altra misura di tempi fuori dell' accennata: "In tutte le danze altre misure di tempo non hanno luogo, che la misura di due tempi, e quella di tre tempi... V' hanno eziandio delle danze, l' arie delle quali sono così posate, che sembrano più tarde di quelle che sono nel tempo ternario composte, e le quali sono notate sopra quattro tempi". In simil guisa la ragione del ritorno degli accenti [-43-] poetici deve determinar la ragione de' musicali accenti; se pur non si volesse adattare alla sescupla, ovvero alla dodecupla que' versi, ne' quali ritornan gli accenti di quarta in quarta; poichè le terzine di ciascun membro della battuta potrebber supplire al numero pari della medesima.

E per insistere ancora un poco a chiarezza maggiore sulla proposta verità, cercherei io qui da taluno, se mai avvenga, che le persone, le quali raccolte si trovano ad una festa di ballo, subito che l' orchestra incomincia a suonare, e le arie della danza riempiono loro gli orecchi, risentendo un certo cotal impulso in tutto il corpo; sicchè molti, e quelli singolarmente, che nel ballo sono esercitati più quasi tener non si possono, e sentonsi le gambe desiderose di ubbidire alla legge di quel suono; dissi, cercherei, se avvenga giammai che una danza ternaria incomincino costoro a prendere sotto una battuta binaria? Non è avvenuto, il so bene, e mai non avverrà. E qui cade opportuno, secondo l' emendazion di Scaligero, il vero senso di quell' antico verso esametro:

Praesul ut amptruat, inde et volgu redamptruat olli.

Cioè, che dovendo i Salii far la loro comparsa ne' dì solenni per le pubbliche vie cantando e ballando inni a Marte; onde non confondere con rossore fra la calca del popolo il tempo delle di verse danze, uno di loro detto il Presule accennava solo la mossa, e quindi gli altri imitavanlo. Così mai non dovrebbe avvenire, che un compositore di musica cambiasse la ragione del ritorno degli accenti poetici con una battuta musicale di [-44-] ragione diversa: altrimenti togliesi affatto l' idea dell' unità, e si riduce il tutt' insieme un pretto caos. Ma io troppo pavento per lo sfrenamento della moderna musica; e son d' avviso, che cadendo dalla penna di qualche suo cortigiano sregolatezza siffatta, ancor suo vanto ardirebbe chiamarla. Ah! ch' io la veggo legata a fil doppio con Alcina per disfarsi totalmente di Logistilla (Ariosto Canto VI). Veggansi su tal proposito i moderni reclami dell' insigne Maestro Maier (Discorso del Signor Andrea Maier Veneziano intorno alle vicende della Musica Italiana. Roma 1819); e conoscerassi quanto moderatamente io mi lagni della musica d' oggi di.

VII. DOMANDA

Quali sono le cause del piacere che ci fa provare la versificazione?

Risposta. L' ordine, la simmetria, il numero, la successione armonica dei simiglievoli ritorni percepiti con distinzione dall' anima per mezzo della fantasia, sono le cause del piacere, che ci fa provare la versificazione.

Dichiarazione. Se io volessi occuparmi di proposito su cotale domanda, mi sarebb' uopo di far un trattato di Psicologia, e le mie più studiate applicazioni metafisiche appena agguaglierebbero le dozzinali pedanterie. Quindi è che mi contento solo di confermare coll' autorità di Tullio queste due verità. Che [-45-] il numero dalla combinazion dei vocaboli risultante è la cagion del piacere. "Omnino duo sunt quae condiunt orationem, verborum, numerorumque jucunditas. In verbis inest quasi materia quaedam, in numero autem expolitio. Sed ut caeteris in rebus, necessitatis inventa antiquiora sunt quam voluptatis: ita et in hac re accidit ut multis saeculis ante oratio nuda ac rudis ad solos animorum sensus exprimendos fuerit reperta, quam ratio numerorum caussa delectationis aurium excogitata": e che il numero stesso onde generi piacere debb' essere chiaro, e dalla fantasia rimarcabile. "Numerus in continuatione nullus est, distinctio et aequalium et saepe variorum intervallorum percussio, numerum conficit; quem in cadentibus guttis, quod intervallis distinguuntur, notare possumus, in amni praecipitante non possumus". Chi avesse ozio per leggere il trattato di Musica di Giovanni Vossio, che trovasi nella sua Opera De quatuor artibus popularibus, troverebbe infinite curiosità su gli effetti di cotal piacere non solo negli uomini, ma eziandio ne' bruti animali siano quadrupedi, siano volatili, siano acquatici; e come un numero sovente con efficacia maggiore di un altro genera diletto giusta le macchinali disposizioni.

VIII. DOMANDA.

In che cosa, e come l' orecchio debba preferire la versificazione alla prosa?

[-46-] Risposta e Dichiarazione. Che l' orecchio piu del numero poetico rimanga soddisfatto in comparazion dell' oratorio, ella è una verità di fatto. L' impressione più viva, più chiara, più determinata, che riceve la fantasia dall' ordine, dalla simmetria, dal numero, dalla successione armonica degli accenti poetici n' è la cagione. Impressione siffatta io la chiamai più viva, più chiara, più determinata nel verso, poichè quantunque v' abbia e ordine e simmetria e numero e succession nella prosa, stultos dico, così Diomede Grammatico, qui putant liberam a vinculis pedum prosam esse debere, sono quivi elementi più vaghi, più liberi, ed insieme più occulti. Rese il numero poetico di se ragione: si seppe il suo procedere: si determinò: fecesi al suo dosso la legge: chi vuol verseggiare, anche invite le Muse, siegua le cotali regole; e se non mai sarà un Ariosto, o un Virgilio, pur tuttavia i suoi versi riscuoteranno alcuna lode. Il numero oratorio, per lo contrario, non isvelò unquemai il suo segreto: nell' orecchio muto affidò sue ragioni: questo ne divenne, e ne sarà maisempre il giudice inappellabile. Quindi è che anche dietro lo studio della Rettorica di Aristotile, e di Tullio, e delle Instituzioni di Quintiliano, e di Dionigi d' Alicarnasso non si tornisce tuttavia a dovere, senza l' ajuto d' un finissimo orecchio, un periodo veramente numeroso nella infinita combinazion de' vocaboli: onde conchiudea il medesimo Tullio, come sopra si vide, che non v' ha poi tanta difficoltà nell' accozzare de' versi anche armoniosi, quanta nel rotondare un periodo oratorio. Quo est ad inveniendum difficilior [-47-] in oratione numerus quam in versibus. Il numero poetico si sa trovare dal contadino, dal piloto, dalla nutrice, dall' artiere; ma per il numero oratorio vi voglion delicatissime orecchie. Il contadino, la nutrice, il piloto, l' artiere annojati alla lettura di un sol periodo del Boccaccio, e del Bembo, viepiù si scuoterebbero al roteare improvviso delle terzine Dantesche, quantunque nè dell' un, nè dell' altre intendessero forse, non dirò il concetto, ma nemmen le parole.

Queste riflessioni peraltro io non oserei applicare così genericamente ad ogni classe di persone. So che i dotti riscaldati alla lettura di Omero, o di Pindaro, passano a gustare le bellezze oratorie di Demostene, senza risentirsi gran fatto della varietà de' lor numeri: e così dicasi della lettura di Virgilio, di Orazio e di Tullio; ovvero di Dante, di Petrarca, o del Certaldese Novellatore. Noi non lodiamo manco una tela del sommo Tiziano, il quale le sue figure diligentemente finite ritoccava con pennellate grandi e risolute: ed interrogato perchè questo facesse, rispondea: Nascondo l' arte: di quello che commendiamo le maniere di tanti altri valentissimi dipintori, de' quali può dirsi dantescamente con Lionardo da Vinci (Trattato della Pittura. Capitolo 25.) che essendo stati nipoti e non figli della natura soverchiamente pavoneggiaronsi nella copia de' manifesti artifizj.

[-48-] IX. DOMANDA.

Quali sono, e quali debbono essere i principj fondamentali di ogni versificazione?

Risposta. Se vogliam essere coerenti al fin quì detto, lungi peraltro dalla baldanza di crear nuove leggi, ma rendendo solo ragione delle versificazioni sanzionate dal giudizio universale di tutti i filosofi, e di tutte le orecchie, il principio generale di ogni versificazione, come tale, si è un numero fisso di piedi ovver di sillabe; e la successione armonica di essi piedi, ovver delle sillabe accentuate in ragione moltiplice o dupla, o tripla, o quadrupla. Se i ritorni oltrepassano questo numero, il verso è fallato, perde la sua armonia, si riduce una prosa, quantunque il concetto, la frase, e le parole appartenessero privatamente al Parnasso.

X. DOMANDA.

Fino a qual punto le nazioni che avessero fondato la loro versificazione sulla rima avrebbero seguito li veri principj della versificazione?

Risposta. Se si desse una Nazione, la quale sulla sola rima di fondar si contentasse la versificazione della sua lingua, sarebbe a mio giudizio priva di senso comune. Il solo ritorno di due voci simili nella desinenza dell' orazione, senza numero fisso di sillabe, [-49-] senza alcun riguardo agli accenti, ovver senza il ritorno armonico di piedi simiglievoli, non dà l' idea del verso. Isocrate a questo dire, per testimonianza di Luciano, un luminar sarebbe tra Greci poeti; e San Agostino, San Massimo, San Fulgenzio e tanti altri fra latini Padri, rimando di continuo le desinenze nelle loro Omelie, dovrebbero aversi per altrettanti insigni poeti. So, che il sopraccitato Anonimo tiene per poesie di tal fatta quelle degli Arabi de' Persiani, de' Tartari, de' Cinesi, e di molte popolazioni di America (de Poematum cantu pagina 25); le quali paragona colla nenia de' bamboli in culla, che ripetono le mille volte la stessa voce. Se vuolsi però dar fede alle traduzioni che abbiamo di siffatte poesie ne' Saggi di Michele Montagne, e ne' Discorsi dello spettatore Inglese, non può dirsi, che quelle odi Americane e Lapone o quelle canzoni Arabe, e Persiane siano legate col solo vincolo di rimar a capriccio ora tardi ora presto due sole voci, mentre per confessione d' Agatopisto Cremaziano nella lettera ad Eleuteria Lacedemonia queste composizioni hanno i lor partigiani anche in mezzo alla luce d' Europa, e non paventan cozzare perfino cogli esempi di Pindaro, d' Anacreonte, e d' Orazio. Che se pure cotale difetto potesse un tempo aver trovato seguaci, egli sarebbe, a mio credere, quel della balbuziente versificazione Italiana. Tuttavia veggiamo il suo numero ed i suoi accenti simetricamente disposti ne' versi che rimangono i più antichi dell' Inscrizione della Chiesa cattedrale di Ferrara posta sopra l' arco dell' altar maggiore.

[-50-]

       Il mille cento trentacinque nato
       Fo questo tempio a Zorzi consecrato.
       Fo Nicolao scolptore
       E Glielmo fo l' autore.

la qual' iscrizione quantunque al chiarissimo Tiraboschi (Storia della letteratura Italiana Tomo 3.) sembri di un' epoca alquanto posteriore al 1135 pure il Quadrio, e massime il Padre Ireneo Affò (Dizionario Poetico Dissertazione Preliminare) la tengono per sicura ed autentica. Chè se queste medesime prove, questi parti immaturi di versificazione in tempi d' ignoranza sono siffattamente regolari e col numero fisso di undici e di sette sillabe, e cogli accenti disposti di quinta in quinta; ove sarà che trovinsi delle colte Nazioni, cui una versificazione di sole rime possa esser piaciuta?

XI. DOMANDA

Fino a qual punto quelle Nazioni che hanno fondato la loro versificazione sulla quantità prosodica, hanno seguito li veri principj della versificazione?

Risposta. Li Greci ed i Latini, che la versificazione loro rispettiva fondarono sulla prosodica quantità ossia sopra un numero fisso di piedi metrici somiglievoli, e sopra il ritorno armonico di cotai piedi in ragione o pari o duplare, o sescupla, godonsi per la Risposta alla VII. Domanda una versificazione perfetta.

Nota. E qui piacemi di avvertire, che parlando di siffatta maniera di versificazione ho mai sempre nominato [-51-] soltanto i Greci ed i Latini, e ciò per la loro notorietà. So bene peraltro, che vanta eziandio la lingua Alemanna questo genere di metrica versificazione. Chi di fatto non conosce l' esimio Klopstock, detto a ragione l' Omero della Germania? la felice sua idea di adoperare i versi Esametri nella nativa sua poesia aprì questo nuovo campo alla ricchezza della lingua, ove il Ramler, il Denis, e varj altri hanno saputo spaziarsi lodevolmente: e se il Klopstock può dirsi l' Omero, il Rumler debb' egualmente riguardarsi come l' Orazio, ed il Gleim un nuovo Tirteo, cui con altro stile raggiunge. (Andres Letteratura Tomo 2.) Anco i moderni Olandesi hanno la metrica versificazione, e non dubito di affermare che al dì d' oggi abbiano eguagliato i Tedeschi.

Quanto poi alla lingua Ebraica, ne ho taciuto, perchè mai non ho saputo convincermi, che metrica fosse la sua versificazione. M' è noto, che il Vatablo, per quanto egli stesso narra, conobbe appieno la misura, ed il metro de' versi Ebrei; e che quindi molti valenti Scrittori l' opinione, che gli Ebrei avessero il metro ne' loro versi, seguirono di proposito, fra quali merita luogo distinto il Gommaro (Lyra David) che con somma industria si faticò di ridurre al metro di Pindaro, Sofocle ed altri quello, ch' egli stimava essere in alcuni libri della Bibbia a persuasione di Abramo Golio, e di Ludovico Dieu, animato ancora dall' esempio del Mercero, a cui in Giobbe parve vedere qualche lume di metro. Il fatto però si è, che il Vatablo niente non ha lasciato in iscritto sopra cotal misura: il Mercero sgomentossi di continuare le sue scoperte; e le fatiche del Gommaro [-52-] furono inutili, rimanendo gli eruditi ai suoni inconditi della nuova Lira ciascuno nella propria opinione. Onde Lodovico Cappello appigliandosi al giudizio, che prima di lui ne dierono Giuseppe Scaligero (in Animadversiones ad Chronicum Eusebii) ed Agostino Steuchio (Praefatio in Psalmis) vinse il partito, sostenendo, che la lingua Ebrea non men che la Siriaca, ed il più delle Orientali, non è affatto capace di versi misurati dalla quantità delle sillabe. Che se a' dì nostri Monsignor Francesco Antonio Baldi (che nomino solo a cagion d' onore) nell' opuscolo intitolato: De Apologia Catholicae Religionis Venetiis 1799. ha riprodotto con gli Esametri Spondaici della Profezia di David (2. Regum 23.) il divisamento del Gommaro, si appartiene non a me, ma agli Eruditi il giudicarne.

Finalmente avrei dovuto eziandio accennare la lingua Getica, docilissima in prestarsi alla metrica versificazione. Fu questa tutt' opera di Ovidio, il quale avendo essa lingua in quel suo esilio apparata, ne prese pensiero, e sforzossi di farla parere men barbara. Che perciò ridusse, secondo che dice egli stesso, i versi Getici alla misura de' versi latini.

    Ah! pudet; et scripsi Getico sermone libellum;
       Structaque sunt nostris barbara verba modis.

Così scriv' egli ad Carum nel IV. Libro De Ponto. E non è a dire, che i versi Getici di quella misura non avessero forse armonia, e non piacessero; che anzi Ovidio soggiunge:

    Et placui: gratare mihi: coepique Poetae
       Inter inhumanos nomen habere Getas.

Di maniera che avendo egli composto un lungo [-53-] Poema, e recitatolo dinanzi ai Tomiti, gliene fecero i medesimi maravigliosa festa.

    Et caput et plenas omnes movere pharetras,
       Et longum getico murmur in ore fuit.

E tanto lo amarono, e l' onorarono, che vollero ornarlo sopra tutti i loro cittadini, e l' ebbero sempre caro, e solennemente il coronarono come Poeta. Così scrive egli in un' altra elegia ad Tuticanum nello stesso Libro IV. De Ponto,

    Molliter a vobis mea sors excepta, Tomitae,
       Tam mites Grajos indicat esse viros.
    Quem vix incolumi cuiquam salvoque daretis,
       Is datus a vobis est mihi nuper honor.
    Tempora sacrata mea sunt velata corona,
       Publicus invito quam favor imposuit.

Questo tutto è verissimo: altronde però come poteva io citare la versificazion di una lingua, che più non esiste? Il Triumphus Augusti Caesaris, e de Gestis Imperatoris scritti da Ovidio in lingua Getica, sono disgraziatamente periti. Il ciel volesse, che come fu trovata la penna d' argento o piuttosto stilo col nome di Ovidio Nasone nel suo sepolcro scoperta nel secolo XIV. a testimonianza di Ercole Ciofano nella vita di Ovidio; così le ricerche dei moderni investigatori nei codici rescritti fortunatamente rendessero nel secolo XIX. le citate ed altre più interessanti opere alla pubblica luce!

[-54-] DODICESIMA DOMANDA.

Fino a qual punto quelle Nazioni, che hanno fondato la loro versificazione sopra una distribuzione simmetrica di accenti, hanno seguito li veri principj della versificazione?

Risposta. Le lingue moderne, l' Italiana, la Tedesca, la Spagnuola, l' Inglese eccetera determinando nelle rispettive loro versificazioni un numero fisso di sillabe; e stabilendo delle sedi invariabili per gli accenti, che si succedono simmetricamente di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta sieguono, per la risposta alla IX. domanda li veri principj di una retta versificazione.

Nota. La sola lingua Alemanna, lingua madre, e l' Olandese portano al dì d' oggi il vanto di essere suscettibili della doppia maniera di versificazione metrica ed armonica. Tutte le altre moderne figlie della latina troppo diverse nel genio, nell' andamento, nelle desinenze dalla medesima, si contentano dell' armonica versificazione; in cui se ciascuna di avere il suo secol d' oro studiossi, punto non toglie a quel seno onde trasse i natali la primazia, tributandogli le parole di Dante Inferno Capitolo I.

    Tu se' lo mio Maestro, e 'l mio Autore:
    Tu se' solo colui, da cu' io tolsi
    Lo bello stile, che m' ha fatto onore.

[-55-] e quelle di Petrarca. Trionfo della Fama Capitolo III.

    A man a man con lui cantando giva
    Il Mantovan, che di par seco giostra,
    Ed uno al cui passar l' erba fioriva:
    Quest' è quel Marco Tullio in cui si mostra
    Chiaro quant' ha eloquenza e frutti e fiori:
    Questi son gli occhi della lingua nostra.

TREDICESIMA DOMANDA.

Fino a qual punto quelle nazioni, che fanno consistere li loro versi in un certo numero di sillabe, e nella rima, hanno seguito li veri principj della versificazione?

Risposta e Dichiarazione. Il solo numero fisso di sillabe, e la rima per la risposta alla IX. domanda non sono sufficienti a costituire una giusta versificazione. La rima è una bellezza estranea, ed aggiunta per vezzo agli elementi della versificazione; nella stessa guisa che vi ha, può non avervisi. Quando ella giunge, è compiuta già almeno una coppia di versi; e se questi non sono veri versi di per se stessi, la rima priva di reazione non cangerà unquemai natura a ciò che la precedette. Il solo numero fisso di sillabe manca del ritmo, cioè del ritorno simmetrico armonico dei piedi, ovver degli accenti. Non può la fantasia riportare dal solo numero delle sillabe quella impression, quel piacere, che attende dall' idea del verso. La rima, come accidentale e serotina, mai non supplirà al difetto d' un sostanziale costitutivo.

[-56-] Versificazione siffatta dovette, a mio credere, aver di mira l' Anonimo precitato, il qual però a torto si fe' lecito chiamarla propria delle lingue moderne, benchè può gloriarsi di avere un genio più che mediocre d' Italia (Pier-Jacopo Martelli) indotto nel suo capriccioso divisamento. Analizzando egli appunto questa maniera di versificazione potè dir con diritto, che per mancanza della disposizione armonica degli accenti ne quidem intelligas versus esse quos legas, si similiter finientem auferas clausulam; poichè tali versi da due insufficienti elementi, dal numero cioè delle sillabe, e dalla rima vengon formati: ed in conseguenza, che da questa versificazione abest rhythmus, e che sono versi d' un solo piede, ut vere dici possit illos uno tantum pede decurrere, e che prosa sono, e non verso, carmina istiusmodi sunt, ut nihil omnino a prosa discrepent oratione. Continuando anzi egli nell' analisi potè sibbene aggiugnere, che versi siffatti attesa l' ineguaglianza dell' accentuazione distorti sunt et inaequales, e che offendono propriamente l' orecchio, se pur una lunga abitudine non gli renda soffribili; onde ai passi d' un mentecatto meritano di essere assomigliati. "Longa quidem consuetudo facit ut inconcinno isto vocis motu aures nostrae non offendantur, sed profecto si quem inaequali et incomposito adeo incessu ambulantem videamus; vix est ut eum mentis compotem existimemus". Il Parnasso Italiano, Tedesco, Spagnuolo, Inglese eccetera tanto arrossirebbe dal riconoscer per sua versificazione siffatta, quanto vergognossi il cinghiale di [-57-] Fedro (Phaedri Fabularum liber 1. Fabula 29) di essere tenuto della specie di colui che salve in iscontrarlo, dissegli, o fratello: della quale ingiuria, e notisi, ei non si ricattò, siccome di leggieri avrebbe potuto, per non lordarsi.

    Aper quum vellet facere generosum impetum
    Repressit iram; et, facilis vindicta est mihi,
    Sed inquinari nolo ignaro sanguine.

QUATTORDICESIMA DOMANDA.

Decidere col paragone di questi differenti sistemi quale di essi abbia incontrastabilmente la superiorità?

Risposta e Dichiarazione. Rimanendo escluso per ciò che si è detto fin qui dal genere delle vere versificazioni il supposto della X. Domanda, dico, che per la simiglianza riconosciuta, fra le due versificazioni metrica ed armonica nel ritorno simile dei piedi, e degli accenti in ragione moltiplice o dupla o tripla o quadrupla, si rende inutile questo odiosissimo paragone. E dissi odiosissimo per non dire impossibile, siccome avrei dovuto. Di fatto se io mi volessi arrogantemente levare in giudice, eccoti i Greci, i Latini, ed i moderni Tedeschi, che per la metrica versificazione mi presentan gli Omeri, i Pindari, i Callimachi, li Virgilj, gli Orazj, i Tibulli, gli Ovidj, i Klopstock, i Ramter, i Gleim, e questi appresso una serie infinita di altri poeti di primo e di second' ordine: mi additano immediatamente nel Coro stesso di Muse gli armonici poeti [-58-] fra gl' Italiani Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Redi; fra gli Spagnuoli Boscan, Garcilasso, Guthire di Cetina, Lope di Vega; fra gl' Inglesi Milton, Dryden, Adisson, Pope: fra i Tedeschi Opitz, Lessing, Klopstock, Gesner, Haller, Wieland; e perfin fra gli Olandesi Catz, Vondel, Hooguliet, nomi tutti fra gli altri celebri, e nel Parnasso famosi. Or tu chi se', potrebbe a ragione intuonarmisi. (Dante Paradiso Canto XIX).

    Or tu chi se' che vuoi sedere a scranna
    Per giudicar da lungi mille miglia,
    Con la veduta corta d' una spanna?

Inoltre v' ha fra i nominati molti rispettivamente chiamati Omeri, Pindari, Callimachi, Ennj, Virgilj, Tibulli, Lucrezj, Orazj, Plauti, Terenzi, eccetera chi, dicesi, che agguagliasse il suo prototipo: chi, si sostiene, che a superarlo giungesse. Si accaniscono in questi divisamenti i Critici, ciascun la vuole a suo modo. Ed io osar d' apparire in simil giostra? Di più, non sono nuove fra gl' Italiani, fra gl' Inglesi e fra i Tedeschi le contese vivissime, che si ebbero, onde concedere la primazia ad una delle due maniere di versi sciolti e rimati: l' oggetto in vero non oltrepassava in fondo l' Omerica Batracomiomachia; con quanto danno però delle buone lettere ambedue le schiere armeggiarono? Or dappoichè con immensa applicazione mi fossi studiato di farmi ridere al solo bandir in campo siffatte topiche guerre, tributando quindi la palma ai metrici sopra gli armonici versi, ovver parteggiando gli armonici, e schifando per dabbenaggine i metrici; Che sarà per questo? Nè i Greci nè [-59-] i Latini a causa perduta rivalicando la palude di Stige abbandonerebbon giammai gli sposati lor metri; ed i moderni poeti armonici, avendo la peggiore, rimetterebbero il giudicato ad una nuova confusion di Babele, onde gli attuali idiomi rimpastati nelle bocche de' viventi fossero atti a ricavare una metrica versificazione. Ciò che per altro credo opportuno di rilevare si è, che difetti si scorgono nei metrici, difetti negli armonici componimenti. Cadon talvolta i versi Greci, cadono i Latini, e gli armonici sovente non cadon no, precipitan di sella. Pur troppo è vero, che l' umana natura non può produrre un' opera interamente perfetta; ed alcune colpe sono inseparabili dall' umanità. Ciascuna lingua come debb' esser contenta di quelle bellezze, che le son proprie, cui ricavarono i dotti nel rispettivo secolo d' oro; così ingenuamente que' difetti confessar debbe, che o coloro non videro, o che formando delle lingue stesse la natura, l' indole, il genio, mai non si toglieranno.

QUINDICESIMA DOMANDA.

Paragonare il modo della versificazione di ciascuna lingua con se stessa, affine, di conoscere quali sono, fra le lingue principali, quelle, la cui versificazione è perfettamente conforme al loro genio, come quelle, che sono in opposizione, e non interamente d' accordo colla loro versificazione.

[-60-] Risposta e Dichiarazione. Non può veruna lingua avere una versificazione diametralmente alla sua natura, alla sua indole, al suo genio opposta. Nascon talvolta fra i più vili idioti dei mediocri versificatori. Coloro che furono al verso disposti dalla natura, verseggiarono primi, apprendendone da un urto incognito del naturale entusiasmo la foggia propria, ed adatta alla natura, all' indole, al genio della madre lor lingua. Quinci le osservazioni sopra tali aborti, quinci le regole, quinci i perfetti poeti. Ante enim carmen ortum est quam observatio carminis. (Quintiliano) Potrà sibbene una lingua fra le cure dei dotti esser capace di ripulimento; ed ecco al tempo stesso migliorata la versificazione; ed anche potrà a nuove adattarsi fogge di versi. Mai però non direi, che lingua e poesia di una colta Nazione possano di opposizione convincersi.

Furon poeti Livio, Andronico, Ennio, Nevio, Pacuvio, Cecilio, Lucilio, e mille altri, ma colla rozza lingua latina imbastardita dai dialetti di tanti Popoli circonvicini sottomessi da Romolo, e dai suoi successori, ed obbligati a passare come cittadini nella Capitale novella. Il ripulimento della lingua stessa nella civilizzazione romana ne dette i Plauti, i Terenzj, i Lucrezj, ed appresso i Catulli. Era riserbato però all' aureo secol d' Augusto il deliziarsi dell' epico Virgilio, e di Orazio, de' Lirici il Principe, cui non teme Cesare Scaligero di dar la palma sopra Pindaro, Alceo, e Saffo. Da Andronico a Virgilio ed Orazio vi ha per certo un gran tratto; unico però si mantenne il genere della versificazione.

[-61-] La lingua de' Geti, per le cure di Ovidio, siccome sopra si vide, fu capace della maniera di versificazione Latina, incognita affatto a quelle barbare genti, che pur gusto n' ebbero, e se ne compiacquero. Ed ecco una lingua che scuopre vene di oro ove non conosceva che inospiti monti, e

ne addiviene superba. Ma non per questo direi, che i versi, qualunque si fossero, Getici, innanzi ad Ovidio, si trovassero in opposizione colla lingua.

Fra Guittone, il Beato Iacopone, e tanti altri sgraziati versificatori innondaron l' Italia fra i vagiti in culla dell' Italico idioma. Dante nella Divina Commedia mescola talvolta qualche estera voce. Le ottave della Teseide fiutaronsi acremente dagli ammiratori stessi del Boccaccio. Petrarca fu il solo che seppe sciogliere in dolcisssimi inauditi, ed inimitabili accenti le amarissime doglie di non corrisposto amore. Si debbe però al secolo di Leon X. l' Ariosto, il Tasso, ed insieme con essi il Bembo, il Molza, il Costanzo, il Caro, e tanti altri capaci di destare invidia col loro canto alle Muse Greche, e Latine. Da Fra Guittone però fino al secolo XVII. unica fu sempre la maniera di versificazione italiana. Incominciaronsi quindi ad udire nuove fogge di versi: li più famosi, che occuparonsi di tali studj, sono il Martelli co' suoi Martelliani: appresso vennero coloro, che pretesero d' imitare il suono degli Esametri e de' Pentametri Latini, come Leon Battista Alberti, il Tolomei, l' Atanagi, l' Alamanni, e finalmente quelli, che opinan di udire tutti gli altri metri latini in qualcuna delle [-62-] nostre maniere di versi. Sembra ad alcuni, che costoro non sieno da tenersi nella loro impresa per felici, siccome fu Ovidio nella sua: tuttavia al mio intento bastano per dimostrare, che può una lingua sotto la cultura dei dotti produrre anche esotiche frutta, senza che alle nostrali scemisi punto di pregio.

Veniamo agli Spagnuoli. Ancor essi riconoscono nel XVI. il loro secolo d' oro per il ripulimento del Castigliano linguaggio. Il Boscan fu il primo Poeta del nuovo gusto; ed ardì di acconciare le gioje del Petrarca al suo abito ancor non troppo elegante. Garcilasso è il principe della poesia Spagnuola; ma tuttavia non si può appieno lodare l' armonia e la soavità de' suoi versi. Lope di Vega spiegò finalmente alla maniera armonica Italiana le ricchezze della sua poesia. Che fia però degli antichi, Berceo, Ruitz, Mena? Hanno ancor essi il lor pregio. Al nascer del nuovo sole nell' adottamento della maniera Italiana di verseggiare, sparì la loro luce,, ma non fecesi tenebre.

Eccone agl' Inglesi. Il Camer coetaneo del Petrarca, fu co' suoi versi l' Omero, o piuttosto l' Ennio della nazione. Al principio del secolo XVI. studiaronsi in Inghilterra la lingua e la poesia Italiana: impararonsi a memoria li sonetti del Petrarca, prendevansi per modelli, e formavasi l' Inglese versificazione tutta a norma dell' Italiana. Tosto Arrigo Howard meritò il titolo di Petrarca Inglese, è lo Spencer di Tasso. Milton venuto poco appresso fu il più gran genio; e vuolsi da lui derivato il cominciamento de' versi sciolti detti perciò da Philips [-63-] miltoniani. La gloria di aver raffinata anche più l' Inglese versificazione, e raddolcita la rima viene accordata al Walter. Dryden fu un nuovo pianeta. L' Addisson, e il Pope risplendono sopra tutti quasi due Soli. E l' antica maniera di versi Inglesi? Si legge dai nazionali, e non si beffa.

Andiamo in Alemagna Martino Opitz fu l' aurora della buona poesia Tedesca; quindi il Lessing, e il Gellert ne accrebbero la luce. Klopstock però l' Omero della Germania, essendo stata già ridotta la lingua Alemanna ad una politezza squisita, è il primo che l' arricchì della maniera metrica, rivestendo alla Greca, ed alla Latina i versi Tedeschi: quindi il Ramler, il Denis, il Gleim, il Ktelschmann molto si distinsero, finchè il Wieland le ha dato, per così dire, l' ultima mano. Ed ecco questa lingua dalla metà del secolo XVII. prestarsi meravigliosamente alla metrica, ed all' armonica Italiana versificazione, senza punto tacciar di contraddizione i versi degli antichi suoi Ennj.

Riscossi a sì bell' esempio gli Olandesi moderni hanno con gloria marcato quanto sia sensibile, costante, e generale nella lor lingua la quantità delle sillabe brevi e delle lunghe; e così adottando la versificazione Tedesca, vantansi sopra i loro antenati della doppia versificazione metrica, ed armonica Italiana. E l' Ennio Catz; e il Lucrezio Vondel, ed i Virgilj Hooguliet, Nan-Harem? Si leggono, e si ammirano.

Ecco, dimostrato col fatto, come quasi in tutta Europa tanto è conforme la versificazione alla lingua di ciascuna Nazione, che dopo essersi queste [-64-] rispettivamente ripulite, corrette, addolcite, arricchite, hanno finalmente trovato nuove maniere di versificazioni, se n' erano capaci, e sono salite sulle tracce dell' armonica versificazione Italiana, ovver della metrica antica Greca, e Latina per mezzo dei sublimi genj a quel grado di perfezione anche in genere di politezza, di regolarità, e di armonia di versi, cui mai non eran giunte per l' addietro e che non avrebbero osato ripromettersi, se la natura e l' indole lor rispettiva si trovasse in contraddizione, ovver non interamente accordasse con la maniera adottata di versificazione.

SEDICESIMA DOMANDA.

Conclusione.

Applicare le considerazioni precedenti alla lingua, ed alla versificazione Francese.

Risposta e Dichiarazione. A riguardo del presente ultimo quesito mi sono in tutta la lettera dal nominare la versificazion Francese astenuto. Nè punto mi duole cotal omissione; avendo potuto fin qui mostrare senza eccezioni od imbarazzi l' unità del ritmo nelle versificazioni antiche Greche e Latine, e moderne di quasi tutta Europa, facendosi ovunque o metrici o armonici versi, nei quali si ha uniformemente il ritorno in ragione moltiplice o dupla o tripla o quadrupla sia deì piedi, sia degli accenti.

Veniamo alla versificazione Francese. Fu un dì la [-65-] versificazione Francese similissima alla Provenzale. Usavasi allora in Francia l' endecasillabo; ed i Francesi stessi chiamavanlo verso comune (vedi la Gallia litteraria il Caylus eccetera). A me non sembra, dice un dotto autore, che l' essere molto comune alle genti scemi punto il pregio dell' endecasillabo; anzi parmi piuttosto, che gliene aggiunga: perchè tanto comune non sarebbe, se la natura stessa nol ci porgesse, e di più nol facesse a tutti parere assai bello. Ma i Francesi dovettero pensare altrimenti: quindi nell' Epopeja, e nella Tragedia abbandonarono l' antico verso comune di dieci, o undici, e presero il nuovo di dodici sillabe, cui dettero il glorioso nome di Alessandrino. Questo modo di verseggiare, mi suggerisce un altro scrittore, egli in fondo non è che scrivere insieme due minori versi e da vicino legarli colla rima, la qual fu antica invenzione italiana di Ciullo da Camo, cui tutti rifiutarono come cosa stucchevole e sazievolissima. Di fatto vediamo, che la versificazione Francese anche in mano dei famosi Chartier, Marot, Rabelais, Ronsard, Regnier eccetera era molto al di sotto delle altre nazioni: ed il primo poeta Francese, che abbia fatto sentire nei versi una giusta cadenza; il primo che abbia introdotta nella versificazione Francese l' armonia e l' esattezza, altri non e stato, secondo il testimonio di Boileau, e di tutti critici Francesi, che Malherbe: quindi sorsero Racan, Maynard, Desmarest, Desportes eccetera e dietro questi Cornelio coronò il Parnasso Francese veramente di gloria: poscia vi si distinsero Moliere, Racine, Boileau, la Fontaine, Quinault e mille altri [-66-] ancor fra più moderni, i quali se colle dosi immense di talento, di genio, di elevatezza di cui fornilli soprabbondantemente natura, avessero avuto fra le mani una versificazione regolare, veramente armonica, io son d' avviso, che la Francia il Parnasso, ed i poeti Francesi o animate muse, o vivi Apollini tornati a deliziar i viventi, giudicati sarebbonsi da tutta Europa.

La versificazione Francese, ed ecco il mio divisamento, recata dagli ammirabili Genj di quella nazione al più sublime grado di politezza, ond' è suscettibile nell' attuale suo stato, non trovasi in opposizione colla natura, coll' indole della lingua. Può tuttavia, lasciandola in fondo tale qual ella si è, migliorarsi dai nazionali con aggiungervi a coronarla l' interna armonica simmetria.

Che la versificazione Francese non possa trovarsi in opposizione colla sua lingua, è stato in globo dimostrato nella risposta alla quindicesima domanda. La squisitezza delle opere dei sopraccitati poeti ne accresce la dimostrazione di fatto. Una guerra intestina, una opposizion di nature, d' indoli, di genj fra lingua, e versificazione, che a vicenda si elidano, non produce l' Orazio, il Poliento, la Rodoguna, l' Eraclio, e tanti altri infiniti capi d' opera che fanno la maraviglia di tutti i posteri.

Rimane a provarsi, che può tuttavia la versificazione Francese migliorarsi non poco dai Nazionali coll' interna armonica simmetria. Eccomi a dimostrarlo.

La versificazione Francese, siccome è noto, misura i versi col numero delle sillabe, e non colla [-67-] quantità. Si sforzi pure il Ronsard di ridurla a metrica; le sue cure saran sempre inutili; poichè se v' ha alcune parole nella lingua francese, in cui è marcata una quantità sillabica, queste son poche, e tutto il grosso de' vocaboli non si proferisce prosodicamente. Che se Ovidio, Klopstock, ed i moderni Olandesi sono giunti a render metriche le versificazioni rispettive, trovarono già le lingue stesse Getica, Tedesca, Olandese disposte con una pronunziazione marcata, sensibile, universale di sillabe brevi, e lunghe, a ricevere la nuova forma. Misura, dissi, la versificazione Francese i suoi versi con un numero determinato di sillabe, e questo si è il primo elemento. Passiamo al secondo. Tutti i versi maggiori, incominciando da dieci a undici sillabe (mascolini, e femminini, come è noto) debbono avere un riposo, una pausa, una fermata alla metà incirca del verso. Si diletta poi la Francese poesia della rima alla fine del verso: ma questa per la risposta alla tredicesima domanda non è un elemento delle versificazioni, e serve solo per adornarle. Non v' ha fuori di questi altri elementi. Ond' è che i versi minori, incominciando da nove a dieci sillabe, sono costituiti dal solo numero fisso delle sillabe, primo elemento, ed adornansi colla rima. Li versi bianchi (sciolti o non rimati) sono formati dal solo numero fisso delle sillabe, e dal riposo nel mezzo, usandosi soltanto cotal foggia di versi negli Alessandrini.

Questi elementi per le cose fin qui dette in risposta alle X., e XIII. domande non sono sufficienti a costituire una vera versificazione. Imperciocchè, [-68-] per la risposta alla II. domanda, ed alla IX. vi manca la successione armonica dei piedi, o vogliam dire degli accenti, dalla quale nasce il ritmo delle vere versificazioni. Di fatto i Francesi non danno regola veruna per la successione delle penultime sillabe delle parole femminine, e delle ultime sillabe di tutte le altre parole, le quali sillabe noi chiamiamo accentuate; ma che a molti Francesi rimane in libertà di appellare come più loro aggrada, non volendo muover lite su questo. Il fatto sta, che cotali sillabe (noi diremmo accenti) trovansi ne' loro versi irregolarmente e capricciosamente disposte. Un emistichio ha per caso le ridette sillabe o accenti in un cotal ordine; il seguente emistichio in un altro diverso: il terzo lo cambia ancora: il quarto non si adatta ai precedenti; il quinto è loro difforme eccetera. Questa è una successione priva affatto di ordine, di simmetria, di numero, di proporzione, di ritmo; e che senza assuefarvi dall' infanzia l' orecchio non può tollerarsi.

Mi appello alla leale gentilezza dei Francesi. Dicon essi, e ne son pieni i lor libri, che i versi bianchi (sciolti o non rimati) non sono veri versi, e che se talvolta si fanno, punto non appagano. Il perchè indicherollo io. Perchè un numero fisso di sillabe, ed un riposo nel mezzo, i quali sono gli unici elementi di questo verso, come si è di sopra veduto, non sono elementi sufficienti di vera versificazione; vi manca il costitutivo del ritmo; vi manca cioè la successione armonica delle soprindicate sillabe o accenti. Dispongansi le sillabe ridette, [-69-] o accenti intermedj di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta; ed allora saranno veri versi, e si gusteranno, siccome gustano gl' Italiani, i Tedeschi, gl' Inglesi, gli Spagnuoli li versi sciolti con siffatta regola costruiti nelle rispettive lor lingue.

Dicono i Francesi, e ne sono pieni i lor libri, che la lettura de' loro versi non si sostiene a tempo pari colla lettura della prosa. Il perchè indicherollo io. La loro prosa è veramente numerosa ed armonica del numero oratorio: la leziosità delle orecchie di Fenelon, di Bossuet, del Padre Bourdaloue, di Massillon, e di altri molti lasciata a se stessa non poteva rassomigliar ne' suoi parti, che le prose dei Demosteni, degli Isocrati, dei Tullj, dei Cesari, dei Livii, da leggersi avidamente da sera a mattina. Gli elementi però della versificazione Francese, cui sono stati dall' uso violentati a seguire, anche gli Omeri, gli Orazj, i Plauti della Francia, non sono sufficienti a darle una fissa armonia, un ritmo eguale e regolare per l' irregolarità della successione delle ridette sillabe o accenti. Dispongansi le medesime di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta; e si avrà ritmo, numero, armonia, simmetria; e si leggeranno i versi al pari, o anche a tempo più lungo che non la prosa.

Dicono unanimemente i maestri di musica Francesi, che martirio più crudo non v' ha di quello che provasi nell' adattare le melodie musicali ai versi Francesi. Riscaldata la fantasia alla lettura di un' aria, di un duo, di un coro, somministra loro [-70-] una melodia efficace ad esprimere il concetto: quand' ecco rivestitone il primo emistichio, nell' adattarlo al secondo, o ridonda, od è mancante, conviene o stroppiare l' andamento del verso, o difformare con suddivisioni o con riunioni la melodia. Lo stesso aggiungono avvenire volendosi adattare il canto di una strofe alle susseguenti: le medesime note trovansi insufficienti all' impresa. Il perchè indicherollo io. La musica Francese è ritmica siccome quella di tutte le altre nazioni antiche e moderne; e vi si succedono gli accenti melodici o di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta. Al contrario la versificazione Francese, contenta dei due elementi sovresposti, non si occupa della successione armonica delle sillabe sopraddette, che noi appelleremmo accenti. Quindi nasce, che se il primo emistichio si adatta per caso agli accenti proporzionali melodici, il secondo li contraddice, e gli annulla. Quindi nasce, che la disposizion capricciosa delle ridette sillabe o accenti di una strofe mai non combina, se pur non sia per caso, colle sillabe, o accenti della seguente; e così mancando questa simmetria, quest' ordine, questa proporzione, questo ritmo, le strofe aritmiche non posson sempre mai legare colla ritmica musica. Dispongansi le ridette sillabe o accenti di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta; e si avrà ordine, numero, simmetria, ritmo: e questa ritmica armonica versificazione adatterassi di per se stessa al ritmo musicale.

[-71-] Che se pur de' poeti in Francia ora vi sono, i quali si leggono avidamente; questo più avviene per l' interesse in cui sanno avviluppar il lettore: dirò con maggior chiarezza; sono le infinite bellezze poetiche più che il merito della versificazione che tanto attrae. Inoltre soggiungo, e bramerei essere ascoltato in questo punto da tutta Francia, che Cornelio, Moliere, Racine, Boileau eccetera guidati dal loro armonico orecchio, hanno talvolta, e non di rado, fatti dei versi coll' armonica disposizione delle ridette sillabe o accenti: il loro orecchio naturalmente armonico ha saputo trovar di sovente quella ritmica successione, di cui ragiono, lo che potrebbesi mostrare con infiniti esempj, se la notorietà delle loro produzioni non me ne dispensasse. Quindi è avvenuto, che cotali poesie hanno sortito eziandio migliori musiche. Ne' più fa bisogno quel miserabile partito, cui un tempo si dovette servire, se pure è vero il fatto narrato dal sopraccitato Anonimo: In Gallorum cantu saepe videre est quod peracto cantico, haec nimirum addunt: QUAE CECINI HAEC SUNT. (pagina mihi 124). Anzi al presente e s' intende, e si gusta la forza della poesia anche in mezzo al maggiore strepito musicale. Porto però opinione che il sommo Gretri non mai avrebbe ottenuta tanto estesa, e tanto costante fama, siccome può vantarsi a gloria della sua nazione, se i poeti non fossero assai docili a qualche sua rimostranza.

Sarebbe qui da rispondere alle note scuse di parecchi scrittori Francesi cioè che la loro versificazione non è intesa da verun altro, fuorchè dai Francesi: [-72-] nella bocca, e nelle orecchie de' quali riveste bellezze non più udite, ed impercettibili a tutti gli altri uomini. Questa però è una fanciullaggine sfuggita della penna anche di Monsieur Rollin, e che non merita di soverchiamente occuparsene; essendo certo, che la versificazione Francese poco gradevole alle orecchie del rimanente di Europa innanzi a Malherbe, è fiutata eziandio dai Francesi; e che i versi più sonori da Cornelio in poi sembran tali e ai Francesi, e a tutto il rimanente di Europa.

Per compimento dell' assunto dico, che si esige il finissimo orecchio dei nazionali poeti a determinare i luoghi più opportuni e più soddisfacenti per collocare armonicamente le indicate sillabe, da noi dette accenti. Nei versi, a cagion d' esempio di IV. a V. sillabe possono aversi sul primo quarto, ovvero sul secondo quarto piede. Nei versi di V. a VI. sillabe possono aversi sul 1. 3. 5. ovvero sul 1. 5. ovvero sul 3. 5. ovvero sul 2. 5. piede. Nei versi di VI. a VII. sillabe possono aversi sul 2. 4. 6. ovvero sul 2. 6. ovvero sul 3. 6. ovvero sul 4. 6. piede. Nei versi di VII. a VIII. sillabe possono aversi sul 1. 3. 5. 7. ovvero sul 1. 5. 7. ovvero sul 3. 7. ovvero sul 4. 7. ovvero sul 5. 7. piede. Nei versi di VIII. a IX. sillabe possono aversi sul 2. 4. 6. 8. ovvero sul 2. 6. 8. ovvero sul 2. 4. 8. ovvero sul 4. 6. 8. ovvero sul 4. 8. ovvero sul 2. 5. 8. ovvero sul 5. 8. piede. Nei versi di IX. a X. sillabe possono aversi sul 3. 5. 7. 9. ovvero sul 3. 7. 9. ovvero sul 3. 5. 9. ovvero sul 5. 7. 9. ovvero sul 5. 9. ovvero sul 3. 6. 9. piede; e così di mano in mano dicasi degli altri fino al verso più grande, l' Alessandrino di [-73-] XII. a XIII. sillabe, in cui volendosi rispettare la pausa o riposo sulla sesta sillaba, si possono avere gli accenti sul

       2. 4. 6. 8. 10. 12.
ovvero 2. 4. 6. 10. 12.
ovvero 2. 6. 8. 10. 12.
ovvero sul 2. 6. 10. 12.
ovvero sul 4. 6. 10. 12.
ovvero sul 2. 6. 8. 12.
ovvero sul 3. 6. 9. 12.

e quinci scorgesi l' immensa varietà sempre però regolare di cui può farsi pompa. Chi poi ne assicura se tutte, ovver quali di siffatte dimensioni siano da ammettersi? Neque enim versus ratione est cognitus, sed natura, atque sensu, cade qui opportuno il detto di Tullio (de Oratore). Le orecchie armoniche dei nazionali poeti saranno gl' inappellabili giudici di siffatte dimensioni; a loro spetterà l' approvazione, o la ripulsa.

Siami ora qui lecito di domandare. E non potrebbe ella la versificazione Francese sul metodo fin qui accenato, rimanendo in sostanza quella che è, esser capace di miglioramento? Non potrebbe dessa, rimanendo in sostanza quella che è, prestarsi ad una foggia più armonica, e ritmica a somiglianza di tutte le altre lingue moderne? e così farsi bella anche alle orecchie degli stranieri? E così pesar meno anche ai Nazionali? E così prestarsi con più di condiscendenza alla musica sua sorella, e vestirsi di nuove eleganze? Io tengo per fermo, che tutto ciò di leggieri ancor si potrebbe, senza nemmeno che il giudizio della moltitudine, [-74-] temuto tanto su tal materia da Giovanni Giacomo Rousseau, potesse interessarvisi, sol che i dotti poeti Francesi per modo di fatto travagliassero un tantolino più sopra la successione materiale delle sillabe ridette nei loro precisissimi versi. Poterono quanti fur i più insigni poeti Francesi guidati dal genio, dal buon gusto, dal loro orecchio tornir di tratto in tratto alcuni de' loro versi armonicamente? Perchè non si potranno in simil guisa tutti tornire? Francesi maestri di musica, voi potete molto coadjuvare all' intento. Rammentatevi le glorie de' vostri antenati dei secoli XV e XVI quando la loro arte non si occupava che di vestir le aritmiche parole della Liturgia, o al più de' madrigali in istile grosso, in cui il ritmo poetico si perde, e sol si attende il ritmo musicale. Essi non la cedevano in celebrità ai maestri di tutte le altre nazioni. La poesia richiamò la musica nel teatro, lo stil grosso si dovette abbandonare, il ritmo poetico si arrogò meritamente la primazia sul ritmo musicale, da cui vuol essere coadjuvato, e servito, o almen non contraddetto, e la vostra poesia mancante di metro e di disposizione armonica di sillabe o accenti limitò, impoverì il genio musicale de' vostri maestri; e la vostra musica vocale, che innanzi ammirar si faceva per tutta Europa, si contentò di rimanere fra i vostri confini. Risvegliatevi di grazia. Imponete amichevolmente ai poeti. Non ponete mano a vestir di melodie se non versi armonici, ritmici, ed i vostri talenti raggiungeranno, od oltrepasseranno anche gli altrui.

Ma dove io mi faccio condurre? Deve bastarmi [-75-] per conchiudere di tornare sulla base accennata dal bel principio; Che unico fu, è, e debb' essere il ritmo d' ogni musica, e d' ogni versificazione. A dimostrazione della qual verità si è provato:

Primo. Che il ritmo musicale dei Greci e dei Romani cantori è lo stesso del ritmo musicale della moderna musica di tutta Europa, e consiste nel ritorno indefinito degli accenti melodici in ragione o dupla, o tripla, o quadrupla; vale a dire si succedono gli accenti musicali o di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta.

Secondo. Che il ritmo poetico della metrica versificazione dei Greci e dei Romani antichi, e dei Tedeschi ed Olandesi moderni combina per appunto col ritmo musicale sopraccennato, ritornando in essa i piedi poetici, i quali non oltrepassano le tre sillabe sieno lunghe, sieno brevi, sieno miste, nella ragione sovrindicata o dupla o tripla o quadrupla.

Terzo. Che il ritmo poetico delle armoniche versificazioni moderne (tranne la versificazione Francese) è ancor egli il medesimo, ritornando in esse le sillabe accentuate nella sopraddetta ragione, ossia seguendosi di terza in terza, di quarta in quarta, o di quinta in quinta.

Quarto. Che la versificazione Francese per quanto sia stata migliorata da Malherbe in poi, manca tuttavia del ritmo, essendo in essa le sillabe, che noi diciamo accentuate, capricciosamente disposte, senz' ordine, senza simmetria, senza ragione veruna; cosicchè quelle di un emistichio, o di un verso oppongonsi diametralmente a quelle del seguente, ed in tal maniera variansi sempre disordinatamente.

[-76-] Quinto. Che se i Nazionali si compiaceranno di adottare costantemente, ciocchè hanno usato sovente i loro medesimi eccellenti poeti, cioè di disporre simmetricamente le penultime sillabe delle parole femminine, le ultime sillabe di tutte le altre parole, ed ove la frase assorbisce gli accenti, quell' accento che viene marcato dalla frase, in ragione o dupla o tripla o quadrupla, avranno ancor eglino un armonico-ritmica versificazione; potranno deliziarsi dei versi bianchi, che allora diverranno veri versi, e mai più non si armeggerà fra i poeti ed i musici, armonizzando perfettamente il ritmo poetico col musicale.

                 Giuseppe Baini