Saggi musicali italiani

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Author: Casamorata, Luigi Ferdinando
Title: Macbeth, melodramma di F. Piave musicato da Giuseppe Verdi.
Source: Luigi Ferdinando Casamorata, "Macbeth, melodramma di F. Piave musicato da Giuseppe Verdi," Gazzetta musicale di Milano 6 (1847): 139–41

[-139-] (Continuazione. Vedi i Numeri 15 e 17.)

III.

Dissi già in principio di questo scritto, che lo avrei terminato con alcune generali considerazioni relative a questo Macbeth, sul quale già da tanto tempo trattengo i benigni lettori. -- Melodia, corredo armonico di essa, ecco quello che farà special subbietto di questa generale disamina.

È stato detto da molti il Macbeth difettare nel canto, o vogliam dire mancare di melodie. -- È egli ciò vero? -- Nol credo: credo anzi le melodie vi sieno e molte, ma poco appariscenti, perchè tutte o quasi tutte dal più al meno dello stesso genere, perchè tutte affatto sillabiche. La cosa è innegabile ed innegata, io credo; vedasi ora da che dipenda, e se il maestro debba o no meritar lode per parte nostra per aver praticato così.

Proprio è del canto informarsi al genio, al gusto, al carattere delle lingue parlate dalle diverse nazioni: per ciò appunto il canto di tutti quei popoli che parlano lingue, i suoni delle quali sono aperti, dolci le articolazioni, suol riconoscere per base caratteristica la vocalizzazione; mentre al contrario suol essere principalmente e caratteristicamente sillabico quello delle nazioni che parlano lingue, i suoni delle quali sono cupi, sordi o nasali, ed aspre e forti le articolazioni. La lingua italiana essendo tra le prime, carattere precipuo del canto italiano è stato sempre l' essere vocalizzato; al contrario carattere fondamentale delle nazioni d' oltr' Alpe, che parlano idiomi da classarsi nella seconda delle categorie indicate di sopra, sta nell' essere principalmente sillabico. Mentre la ragione facilmente ci spiega del fatto il perchè, la esperienza ce ne addimostra la ineluttabile verità, tanto se prendiamo a considerare la musica del popolo, quanto se guardiamo a quella della scuola. Entrare nei particolari del parallelo che della musica popolare italiana con quella d' oltr' Alpe qui propongo non comportano i limiti di un articolo come questo: forse altra volta riassumerò come subbietto di principale speculazione il parallelo stesso; per ora mi concedano i lettori che mi limiti ad indicar loro di fuga come dimostrazione di fatto un confronto tra la stemperata vocalizzazione che si posa ordinariamente sulla ultima, o più spesso sulla penultima vocale del verso o dell' emistichio nei canti dei contadini specialmente delle due Sicilie e della campagna di Roma, e la sillabazione ritmica e vibrata delle canzoni popolari d' oltr' Alpe. Notisi però qui, a scanso di equivoci, che parlo di vero canto, di suoni musicali cioè sposati alle parole o di parole articolate cantando, e non di quei tratti di gorgheggio a cui, ad imitazione quasi del vento sibilante lungo le rive del mare o nelle gole dei monti, sopra semplici a, o, jo, ju, eccetera, eccetera, si abbandonano talora le nordiche gole; considero questa come una specie di musica strumentale suonata con la gola; e nello stesso modo credo debbano considerarsi del pari i larifla, i laridondaine, e i trallerallera e i trallerallà che servono di ritornello ai vaudevilles francesi, o agli stornelli ed altri canti popolari italiani.

Se si dà un' occhiata alla musica di scuola, dal momento che la melodia è andata prendendo vita e forma in tutte le scuole musicali italiane, e specialmente in quella melodica per eccellenza, nella napoletana, si riscontrerà di leggieri che vi ha assunto un carattere essenzialmente vocalizzato. A questa generalità di carattere non vi è da notare che una eccezione in quel canto a nota e parola, detto più specialmente parlante, tutto proprio dell' opera [-140-] buffa e destinato pel modo tradizionale della sua esecuzione a tenere un posto di mezzo tra il canto e la declamazione. -- Al contrario nelle scuole musicali nordico-oltr' alpine, e specialmente nella principale di tutte, nella tedesca, mentre troviamo sconosciuto il vero parlante, troviamo pur deficiente come fondo caratteristico del canto il vocalizzo, e regnante in sua vece il sillabismo vocale. È ciò tanto vero che i maestri tedeschi tutti del secolo passato, scrivendo specialmente pel teatro, quando hanno voluto adottare il canto vocalizzato, dall' infimo salendo fino a Mozart, si son fatti più o meno imitatori delle italiane scuole, della napolitana in ispecie. Questa imitazione trascese in alcuni (Giuseppe Haydn non escluso) spesso anco a servilità; lo che sempre avviene quando si vuole imitar cosa non confaciente e spontanea alla nostra natura. -- Altra riprova di questo vero sta in ciò, che volendo Carlo Maria Weber rendere all' opera seria tedesca il carattere nazionale, mantenutosi soltanto intatto nell' opera comica, e mancante nell' altra del tutto, escluso il canto vocalizzato, si appigliò principalmente al sillabico; nè diversamente in sostanza più di un mezzo secolo avanti aveva fatto a Parigi un altro Tedesco, Cristoforo Gluck, quando volle, in opposizione a Sacchini, dare un carattere proprio e gettare le vere basi dell' opera seria francese. -- Era per ciò bizzarrissima cosa, all' epoca in cui Bellini, sfrondando i lussureggianti vocalizzati canti di Rossini, introdusse la riforma che da lui s' intitola nel moderno teatro melodrammatico italiano, era bizzarrissima cosa, io diceva, sentire la massa dei nostri scrittori di cose musicali, specialmente gran parte dei critici della stampa periodica italiana, chiamare i canti sillabici belliniani veri canti italiani, e con lo stesso appellativo di canto italiano anche oggi sentir da molti distinguere il canto declamato sillabico: se vi è cosa in musica meno di ogni altra italiana è certo questo genere di canto. Gli scrittori di cose musicali nella stampa periodica francese non s' ingannarono all' epoca delle belliniane riforme allorchè, lodando Bellini per avere (secondo essi) sollevato all' altezza dell' opera francese la musica italiana, riconobbero il sistema sillabico non essere caratteristico della italiana musica; errarono però tralasciando di notare, come avrebbero dovuto, che non è proprio tampoco della loro, e che se l' opera francese oggi se ne vanta, è perchè un tedesco glielo ha imposto.

Tuttociò essendo, è certo bizzarro subbietto di osservazione per ognuno, il vedere la moderna scuola musicale italiana, seguendo la voce di coloro che più predicano nazionalità in tutte le cose, che marciano sempre coi nazionali colori inalberati, credendo di operare una musicale italiana riforma, gettarsi a corpo perduto in un sistema che è poi caratteristicamente proprio delle scuole straniere! E questo sistema del quale intendo parlare è il bando quasi assoluto dato ai canti vocalizzati, e la quasi esclusiva adozione dei canti sillabici per parte dei moderni scrittori teatrali italiani; bando e adozione che per essere appunto esclusivi sono degni di profondo rimprovero, comecchè ad una serie di mezzi ricchissima una ne sostituiscano immensamente più povera, ad una sorgente di svariatissimi effetti, una dal più al meno di sempre identico effetto. -- Il ciel mi guardi dal deplorare l' applicazione del sistema sillabico al canto italiano perchè di origine in sè stesso non italiana! Certe esclusioni non sono di mio gusto; credo anzi che le arti del pari che la letteratura nazionale nulla abbian di meglio da fare che trar profitto per quanto possono dalle arti e dalla letteratura delle altre nazioni; non però a costo del suicidio, dell' apostasia; non a costo, voglio dire, di distruggere il proprio intrinseco carattere nazionale. Credo per ciò che se ad ottenere più svariata serie di effetti, a dare all' opera italiana un certo non so che di maschio mancante pur troppo all' evirato e snervato nostro teatro musicale del finire del secolo scorso e del cominciare del presente, i moderni nostri maestri ricorreranno ai canti sillabici per frammischiarli ai vocalizzati, faranno bene, e bene avranno meritato dall' arte; ma se intenderanno tenersi esclusivamente ai primi rinunziando quasi assolutamente ai secondi, meriteranno rimprovero come dell' arte medesima detestabili corruttori. A tal proposito non so ristarmi dal riferir qui ciò che un critico francese scriveva non è molto, comecchè (ad onta di alcune delle solite esagerazioni ed inesattezze) non iscarso, secondo me, d' importantissime verità: "L' Italie (così egli scriveva), qui exagère une réaction naturelle contre les formules des imitateurs de Rossini, perdra-t-elle par son amour subit du récitatif l'art du chant qui a fait sa gloire? Il nous semble que les Italiens se trompent en ce moment; ils s'attaquent à la musique elle-même, quand il ne s'agit que de changer ses formules; changez ses ornemens s'ils sont vieux, mais ne lui coupez pas les bras pour avoir les manches de son vêtement. Que les compositeurs italiens apprennent le contrepoint, rien de mieux; s'il ne le savent pas, c'est qu'ils ont négligé les études que Pergolese, Palestrina et les maîtres italiens du seizième siècle n'avaient eu garde d'omettre. Que les compositeurs italiens appellent la symphonie à l'aide du chant; qu'ils apprennent la science qui consiste à donner à l'orchestre un rôle actif dans l'opéra; qu'ils réforment les cadences vieillies; qu'ils sortent de l'ornière de la cavatine (intende della cabaletta) sans y rénoncer complètement; qu'ils mettent la mélodie d'accord avec l'expression, nous les en féliciterons sincèrement. Mais renoncer à la melodie pour la déclamation pure, proscrire la vocalisation, abdiquer cette suprématie que leur assuraient l'abondance et la chaleur des mélodies, se mettre à la rémorque des idées de Gluck qu'ils ne comprennent pas, et qui sont antipathiques à leur nature, ce serait faire une très-grande folie. Ce qu'on appelle le chant large, c'est le chant qui convient à la declamation de l'opéra français; si l'Italie l'adopte, elle y perdra pour un temps son originalité. Avoir de la musique expressive, la chanter fidèlement, ce n'est pas renoncer à la vocalisation, bien au contraire; et malgré toute notre sympathie pour l'art de Mozart et de Gluck, nous aimerions mieux voir l'Italie persévérer dans ses cavatines et ses cadences, que la voir rénoncer à ses voluptueuses mélodies qui long temps encore berceront les peuples".

Sventuratamente mi sembra che del peccato sopra indicato tutti vadan peccando dal più al meno gli odierni giovani maestri italiani; e Verdi almen quanto gli altri; e più forse degli altri in questo suo Macbeth: ora la taccia di monotonia data non del tutto a torto a quest' opera è di ciò appunto la conseguenza.

Deve però dirsi ad onore del vero, che se dell' errore è causa efficiente la tendenza della moderna scuola italiana, è poi causa occasionale nel presente lavoro del Verdi il genere del libretto che questa volta ha dovuto rivestire di note.

È un gran fatto che tutti dobbiamo camminare costantemente di contraddizione in contraddizione! Ho già accennato come i nostri maestri, credendo modernamente operare una riforma musicale in un senso tutto italiano, l' hanno invece consumata in un senso sostanzialmente straniero: -- analogamente si può osservare adesso, che i nostri poeti melodrammatici mai sono stati in generale [-141-] meno lirici che dal momento in cui, abbandonato il nome di melodramma o dramma per musica, col quale erano soliti qualificare i loro lavori, hanno adottato il moderno predicato di tragedia lirica. Vero è che il lavoro del Piave non è stato nella stampa così intitolato; per uscire anzi di ogni imbroglio non gli si è data qualificazione o titolo veruno; ma alla fin fine ciò nonostante non esce dalla categoria dei congeneri odierni più o meno poetici lavori. Ora, è un fatto incontrovertibile che nella poesia per musica (perchè possa essere favorevole all' effetto musicale) è duopo che concorrano i caratteri della lirica vera e propria. Ricchezza di concetti, vivacità e contrastata varietà d' immagini, calore di affetti diversi, ecco quello che a fine di variare il colorito musicale esige dal poeta il maestro, sia che scriva per la camera, sia che scriva pel teatro; nè vi è cosa in vero che si opponga a che questo ricco lirico stile sia impiegato dal poeta nel trattare una scenica azione. Certo il lavoro che ne risulterà, considerato come dramma, come tragedia, sarà imperfetto pur troppo, ma non gli mancherà la perfezione relativa che gli è necessaria, quella io voglio dire che è propria del melodramma, del dramma, cioè, destinato ad essere rappresentato cantando; e come tale sarà perfettissimo. Senza immagini, senza almeno una lirica tinta nello stile, non vi può essere canto vocalizzato; e senza canto vocalizzato è impossibile evitare alla lunga la monotonia. Il mio maestro di rettorica, non volgar letterato, digiuno però di ogni musical cognizione, diceva un giorno me presente: -- Nessuna opera dei più rinomati maestri potrebbe sostenere il confronto di una tragedia di Alfieri, se vi fosse un musicista capace di ben metterla in musica. -- Il pover uomo non credo avrebbe così facilmente avuto la tentazione di assistere al secondo esperimento dell' agognata tragedia in musica, se pure avesse saputo resistere al primo senza morir dalla noja. E chi, pratico di queste faccende, non tremerebbe all' idea soltanto di una pura declamazione musicale, sostenuta per un' intiera serata! -- Vero è che nei moderni melodrammi, che di lirico altro non hanno che il nome, la monotonia in cui necessariamente cadrebbe chiunque volesse musicare un' alfieresca tragedia è sfuggita in parte medianti i metri che son lirici talora, e medianti i musicali metrici pezzi che ne risultano nella musica: non è però rimossa intieramente se questi stessi pezzi metrici son poi quasi tutti di azione, e musicabili per ciò necessariamente in un sistema sillabico; e tali sono pur troppo i pezzi che oggidì soglion farsi. Non vorrei al certo dai moderni poeti per musica si tornasse agli arcadici giuochetti sulle stelle e le luci belle, all' eterna similitudine della nave agitata dal mare in tempesta, ed altre ejusdem farinae; ma dei due mali, meglio pur sempre avvicinarsi a queste puerilità o gonfiezze, che contentarsi della pretesa filosofica austerità dei moderni. Certamente non importa essere gran musicista per sentire che quel poeta che avrà fatto dire ad un personaggio che lo scoppio del suo sdegno lungamente compresso sarà terribile come la fiamma, che, più a lungo arse in silenzio nelle viscere della terra, tanta più forza acquistò per eromperne furiosa a rovesciar tutto che le si oppone; o l' altro che avrà detto: fin da quando la prima volta ti vidi, allo scintillar de' tuoi rai immenso inestinguibile divampò nel mio cuore l' incendio che tuttor lo consuma saranno riusciti più favorevoli all' opera del musicista di quello che lo riuscirebbe colui il quale con gusto letterariamente migliore si contentasse di dire: l' ira mia lungamente compressa scoppierà più violenta, ovvero: appena ti vidi ti amai: anche perchè i vizj dei primi possono essere più facilmente dissimulati e resi tollerabili dall' opera del musicista, di quello che possano esserlo i falli nei quali incapperà talvolta l' ultimo nella sua grettezza.

I moderni poeti musicali sieno dunque lirici francamente e senza tema quando esser lo debbono, cioè quando scrivon per musica; ed abbian cura i maestri di non sceglier libretti che liricamente scritti non sieno. Lo stesso faccia il Verdi; il quale, se questa volta avesse operato così, avrebbe avuto campo d' intramettere ai suoi canti sillabici maggiori canti vocalizzati, belli come tante volte ne ha fatti, e l' effetto del suo Macbeth sarebbe stato anche migliore. Tanto più poi ciò si sarebbe questa volta voluto, per non aggravare indirettamente il danno che la musica non poteva a meno di risentire dall' essere assenti nel dramma le passioni più musicali e musicabili, e dall' aggirarsi esso anzi tutto sopra una delle passioni più antipatiche alla musica, la fredda ambizione.